Ogni ricerca, ha sempre un prima in cui si è cercato un luogo di inizio che è anche, al momento di inizio marchio temporale d’inizio o ricominciamento. Nei confronti di questo prima, l’opera d’architettura, che ne è rimozione o sostituto sia del sito naturale che del relativo tempo ponendolo nel fondo di un ante inaugura il luogo come “spazio” predisposto a ospitare la presenza umana cioè il tempo delle persone da sole o tra altri.
Donde un postulato: l’architettura tratta del presente. Che per essa è sempre dopo l’ora del progetto e prima dell’ora d’abitarvi, mentre questa ora, per chi viene ad abitare, è “presente” attuale. E perciò l’anacronismo, è il carattere originario dell’architettura.
L’impossibilità dell’opera d’architettura di aderire al “presente che passa” mentre passa cioè di staccarsi dal presente passato e dal suo progetto mentre perdura il luogo nel sito per ospitare le ore dell’attore o cittadino che viene ad abitarvi.
D’altra parte, presente è sempre evento spaziotemporale. La sospensione simbolica dello scorrimento temporale che determina l’emergere dello spazio come simultaneità della disposizione dei siti in una totalità di relazioni rigida ha anche una funzione temporale perché conferisce, a questa determinazione di spazio astratto e simbolico o ideale, la qualità di essere spazio per altro/altri, cioè spazio di attenzione per l’osservazione e la riflessione di ciò che vi accade fino all’analisi degli eventi che vi capitano che acquistano il valore di eventi posti all’attenzione di chi vi è convenuto, dunque per estensione a tutti i membri della civitas cosicché ciò che vi accade e viene registrato è partecipato ad altri come appartenente ad un sensus communis che bensì deve essere convalidato, cioè ripetuto e verificato in proprio da ciascuno, ma non senza essere preliminarmente condiviso.
1.
L’inattualità dell’architettura nei confronti dell’attualità dell’attore che entra nel “praticabile” da essa predisposto è il problema del “presente temporale” pubblico/privato dell’opera architettonica, nei confronti del presente egologico (coscienziale) di chi ne fa campo d’azione.
Mineralità simbolica del “presente architettonico” che si protende dal tempo del progetto a quello dell’abitare. E fa, di ciò che si è fatto (costruito) per l’uso (scorrimento del tempo), un ponte tra tempi disomogenei. Il tempo pubblico (degli altri) e il tempo della coscienza o dell’io. Il quale trascorre così in una “simbolica” sospensione dello scorrimento che coincide con la conservazione attraverso il lavoro di manutenzione. La quale manutenzione sostiene perciò la sospensione dell’azione del tempo cosicché il suo oggetto si conservi, sempre al presente, di fronti agli attori che vi agiscono nell’attualità del loro presente.
Tale anacronismo strutturale (o inattualità) dell’opera d’architettura è stato intuito e definito, per la prima volta in modo moderno, da Focillon. Quando, per parlare della vita delle forme (temporalità corporeo_simbolica inaugurata dalla costruzione) appunto inaugurata dai disegni e dalle costruzioni che danno loro corpo ha coniato il termine: presente esteso come carattere specifico della temporalità loro. Le forme incarnate nei corpi di fabbrica vivono appunto un presente sospeso _che esige la manutenzione _ e che , perciò, come tale, si com-pone con quello fatto valere dalle preesistenze del contesto in uso. Si introduce una nozione inedita del tempo. Questa sospensione della diacronia sostanzia la nozione di sensus communis come effetto della persistenza al presente del luogo architettonico per il presente “egologico” (coscienziale) di altri nella ora simultanea di presenza analoga a quella delle ore vissute o da vivere. Sostanzia allora simbolicamente (ma veridicamente_ “vero” del simbolo) l’esperienza “colà” _in quel luogo_ vissuta o vivibile, sempre al presente, di chiunque vi sta, stette o vi starà. Pone così il problema della “storicità” del tempo. Che non riguarda i cicli dei fenomeni naturali (eventualmente ponendo la questione dell’interazione tra i cicli temporali storici e quelli temporali della natura).
2.
La “sospensione simbolica” dello scorrimento del tempo inaugurato ed istituito dall’ opera d’architettura nei confronti del sito naturale in cui è posta e fondata è dunque il valore simbolico della cosa che resta come tale necessaria all’uso, ma detiene un valore preliminare ulteriore ideale. L’idealità non coincide quindi solo con l’evidenza del principio di ciò che chiamiamo spazio: la disposizione irrevocabile delle posizioni coesistenti in un ordine rigido totale o univoco simultaneo ma altresì con l’evidenza dell’alterità del tempo umano. La sospensione simbolica dello scorrimento naturale del tempo istituisce il luogo architettonico come campo bensì inserito in un sito naturale del mondo ma in un modo di esser posto, porgersi e porgere il mondo intorno all’ osservazione dei fenomeni che vi accadono.
In altre parole i luoghi non solo hanno come tali la capacità di ospitare i corpi che sopraggiungono e di dar loro ricetto, ma simultaneamente, fanno sì che siano degni di attenzione tutti i fenomeni della natura e tutte le azioni umane che vi capitano. Ciò che vi accade, messo al cospetto dei presenti è testimoniato da tutti e da ciascuno come evidenza inoppugnabile, memorizzabile e comunicabile agli assenti nei modi condivisi di uno stile di comunicazione. La coincidenza tra capacità d’ospitare chiunque sopraggiunga e nello stesso tempo di proporre il proprio modo di sospensione ideale dello scorrimento temporale preumeno per porre sotto gli occhi l’evidenza dei fenomeni che vi accadono, conferisce alle opere d’architettura lo statuto duplice di cosa_simbolo non come nella parola ove il segno fonico rimanda alla cosa , ma come cosa per l’uso che preliminarmente detiene un valore simbolico ideale che distanzia dalla funzione pratica per porre la stessa di fronte al pensiero ed insieme ad essa la situazione d’ambiente. Onde si stabilisce una congiunzione a laccio tra opera d’architettura, evidenza, senso comune e consenso nella memorizzazione dei fenomeni per l’azione comune. Che forma l’habitus condiviso di una comunità.
Si è così indicato il modo di riguardare i fatti archetipi dell’architettura: labirinto e menhir stele, tempio, teatro riuniti o separati nell’acropoli o nell’agorà.
Ciascuno dei quali può essere considerato un modo di sospensione del tempo per osservare il decorso temporale specifica di una propria classe di fenomeni.
Il modo poi col quale ciascuna di queste idee/cosa si allaccia con le altre in una implicazione simbolica reciprocamente necessaria, “fonda” con la sospensione simbolica dello scorrimento la possibilità di fare, della osservazione dei fenomeni, sapere, scienza e storia del sapere: e per quanto riguarda l’azione umana, cronaca e storia.
Cosi l’acropoli o l’agorà, il foro, il teatro raccolgono l’ insieme dei tipi in una congiunzione archetipale che fa interazione integrale di simboli_cosali e regola di un paradigma di connessioni ideali necessarie a dirigere l’attenzione sulla loro funzione nel costruire la mappa urbana della città.
3.
D’altra parte, la forma della città, il paradigma ideale che regola la sa mappa, nel ciclo temporale di esistenza è infatti precondizione necessaria di qualunque cronaca per la storia1. Senza luogo, non può esservi azione degna di memoria. Essere istituito come luogo di accadimenti degni di memoria, è dunque la precondizione necessaria affinché l’azione degli attori si possa registrare – possa rientrare nel senso comune – .
Si nomina così ciò che salda, senza colmarla, cioè lasciandone la incolmabile lacuna, la distanza di tutti quanti vivono la situazione comune d’abitare il campo comune urbano nel contesto del quale si compensa nella comunicazione la sapienza d’uno con l’ignoranza d’altri, la presenza attuale agli altri viventi (presenza somatica e intersoggettiva) con la presenza inattuale di altri vissuti o vivibili. Lo stile attuale dei vissuti secondo le consuetudini vigenti con lo stile inattuale dei vissuti pregressi secondo consuetudini pregresse2
Senza dilungarmi ulteriormente posso concludere con questo enunciato:
benché originati nel tempo e perduranti nel loro stato cosale di costruzioni architettoniche, i corpi di fabbrica sono allora fatti architettonici che verificano con la loro durata (riproduzione metabolica) la sospensione simbolica della diacronia del tempo (oggi multipla, che produce co-presenza simbolica di presenti sospesi). Ne fanno senso comune “fondato (estrovertendola)” nel mondo e così fanno altresì coesistere questo sapere del senso comune con la presa d’atto del vero del mondo. Dunque durata del senso comune o dello stile del mondo per l’azione, stile della mappa per l’azione praticabile, attrezzi e scena sono presi in laccio di interdipendenze indispensabile alla esistenza di ciascuno. Questo si può considerare principio di ragion sufficiente della costruzione urbana che è anche l’unica costruzione umana. Della sua economia per l’azione che produce la manutenzione o la riproduzione (metabolismo antropico) tratta la disciplina dell’architettura. Traduzione del sapere, ricerca, progetto, verifica e giudizio sul prosieguo del progetto.
Il campo abitato (paese/città) è cioè istruito da una mappa di coesistenze per le sequenze di azioni umane che si apprende insieme al suo paradigma ed allo stile di esso, nel praticarlo. Il campo è dunque nella sua pratica somatica e intersomatica fondo e sostegno di senso comune. Il quale si manifesta come tale nella ripetizione delle sue regole e paradigmi di costruzione o nella conservazione _manutenzione (riproduzione metabolica)
Penso che il villaggio Bororo di cui riferisce Levi Strauss nella sua Antropologia strutturale verifichi questa idea anzi ne sia prototipo archetipale. Tanto nella disposizione costruita di cui si verifica l’efficacia nelle sequenze della vita quotidiana, tanto nella costruzione replicata secondo cicli di riproduzione stabiliti.
Nell’abitare il campo costruito infatti, lo stile della sua disposizione (mappatura) si rivela fondamento e sostegno del sensus communis dei fatti che vi si compiono. Cosicché tutti nel condividerlo immediatamente in modo corporeo ne apprendono e condividono il modo ed in seguito lo riproducono quando occorre dove occorre.
Questo apprendimento corporeo o somatico per pratica e manutenzione (riproduzione metabolica) verifica la competenza di abitare costruire (cfr. F. Choay: l’Allegoria del patrimonio).
Anche il rifiuto moderno per operare un atto genetico di origine nasce dall’esercizio di questa facoltà e presuppone la conoscenza, la condivisione e la partecipazione alla manutenzione_conservazione della situazione esistente.
In ogni caso la discontinuità nel perdurare nella modalità di sospensione del tempo è determinata dal rifiuto della cosa, dalla dismissione dal astenersi dal fare manutenzione.
Ovviamente l’astenersi dal fare manutenzione o la dismissione dall’uso di cui oggi si prende atto come attesa di una trasformazione e indice di crisi e di necessità di cambiamento, ha un modo spontaneo e aconscio che esprime la sua ragione banale: la fine della ragione d’uso che coincide con la perdita della capacità d’appello all’uso che segnala la fine del valore simbolico di sospensione del decorso temporale per la spesa del tempo individuale al presente.
L’astensione dall’opera di manutenzione decreta il rientro della cosa nei processi di degradazione per l’effetto combinato dei cicli climatici stagionali e della spoliazione umana. La simbolica diventa archeologia. Il cui effetto è l’estinzione del valore simbolico attuale: la sospensione simbolica dello scorrimento, il presente architettonico. Archeologia è la rimozione dell’ “appello” ad attualizzare il tempo biografico (egologico e coscienziale), in quel luogo (simbolo di presente “sospeso”), rendendolo pubblico, e perciò registrabile o addirittura degno di cronaca e di storia.
Emerge allora il valore della costruzione architettonica appello alle persone a scorrere nel suo luogo un’ora memorabile della propria biografia (tra attesa e convalida del vissuto conseguente. Appello che ha un modo dell’appello (di cui ha trattato Riegl in: Il culto moderno dei monumento) ed una mutazione storica i cui momenti hanno valore di discontinuità epocale, che coincide con la secolarizzazione del sacro fino alla fino alla democratizzazione che penetra, nella modernità fin nella quotidianità.
Segnalo che l’intuizione del mondo cui si volge lo sguardo dal luogo abitato cioè la scoperta di verità nei fenomeni mirati e ritenutisi converte in memoria per un progetto da convalidare; e, nel caso si trattai di progetto architettonico, da realizzare e abitare.
Nomino così la processualità di quel decorso temporale che ha come finalità la realizzazione di un campo abitabile manufatto non tanto e solo come situazione adatta all’esistenza quotidiana delle persone in società, bensì quello di predisporre il modo di osservarsi e condursi nelle esperienze vissute e vivibili nel campo manufatto che è contemporaneamente condiviso e convalidato nell’esercizio delle facoltà umane in azione nel corso del tempo.
Verifico allora una solidarietà dissimmetrica tra urbs (paese/città costruita) e civitas (cittadinanza che lo abita) per la quale l’urbs fa appello a chi vi perviene affinché lo abiti come campo comune di eventi posti all’attenzione di tutti (sensus communis) nella presenza simultanea al loro avvenire, onde tutti ne sono testimoni. E ne giudicano del valore registrandolo (o no) nella cronaca per la storia come eventi degni di memoria (gesta).
Noto infine che la scoperta di questa nozione dell’architettura (campo costruito per per la cronaca a storia delle “gesta” umane) che segna il discrimine tra medioevo ed era postmedioevale coincide con la scoperta delle rovine dell’antichità: le quali da allora non valsero più come dismissione pura di un mondo manufatto non più sostenibile, ma come appello a ripensarne l’idea. Non valsero cioè più come abbandono per inutilità, ma come memento di un valore simbolico la cui antica dismissione era piuttosto da condannare che da approvare; e che si trattava di riscoprire e declinare di nuovo.
Sostengo poi che Filarete fu l’autore che nel cuore del ‘4003 ed all’esordio del suo trattato strinse in un laccio rigido manutenzione e dismissione con questo valore simbolico piuttosto temporale che spaziale dell’opera d’architettura. Usò infatti la parola eterno per designare la esenzione simbolica dallo scorrimento temporale dell’opera d’architettura.
E questo definisce il problema principale dell’architettura d’oggi che a partire dal secolo scorso sa impossibilità di sottrarre allo scorrimento del tempo la costruzione manufatta perché comprende l’insostenibilità di una durata sottratta all’economia delle energie e delle risorse. Ma non può rimuovere l’ontologia tettonica del mondo costruito cioè la sua inattualità esistenziale necessaria alle esigenze dell’abitare umano.
4.
Ho parlato del valore simbolico o ideale dell’opera d’architettura. Esso consegue ad un’azione ideale sul tempo: la sospensione dell’effetto del tempo sul suo campo costruito – sospensione delle evenienze “naturali” (successione di giorno e notte) vegetali, animali (successione di nascita/morte) umane (successione di azioni e fatti).
Da ciò emerge l’essere puro dello spazio: l’ordo, dispositivo vitruviana che modernamente chiamo la disposizione simultanea irrevocabile delle posizioni coesistenti.
Oltre a questo, però, la sospensione detta, inaugura altresì la alterità del tempo di decorrenza di ogni fenomeno i quale fluisce entro lo scorrimento irrevocabile di un tempo universale secondo cicli di manifestazione propri. In particolare la costruzione istruita di questa idea, manifesta il primato del tempo umano di osservazione dei fenomeni della natura e della società: decreta perciò il primato del tempo degli attori la abitano o meglio che, come cittadini partecipano al farsi della cronaca urbana.
L’opera d’architettura rende discernibile entro il fluire ideale del tempo la pluralità di cicli temporali propri a ciascun fenomeno quindi tali da identificarlo.
Così l’azione ideale sul tempo che fa emergere la natura dello spazio come simultaneità nella disposizione delle coesistenze, fa emergere altresì un fluire astratto del tempo entro il quale sono osservabili i periodi di scorrimento temporali coesistenti o successivi di ogni individuo fenomeno. Il che rende possibile la loro osservazione descrizione riflessione analisi critica. Cioè una identificazione una storicizzazione, una introduzione nella storia.
L’autore che per primo sostenne che questa azione ideale sul tempo fosse l’aspetto distintivo dell’architettura , fu A. A. Filarete, nel De Architectura. L’architettura era tale, sostenne, solo in quanto eterna. Si riferiva, certo, alla “natura” ideale dell’architettura che, come ideale, si sottrae agli accadimenti dello scorrere temporale , istituisce la sospensione simbolica dello scorrimento del tempo naturale .
Penso, d’altra parte che non intendesse eternità come qualità ontologica, ma come azione ideale sulla realtà. Del resto per avere efficacia sosteneva fosse necessario un lavoro umano di manutenzione che, rimuovendo i segni d’invecchiamento e i guasti, ne rinnovasse l’integrità al presente.
L’eternità nominava l’azione ideale, operata dalla costruzione architettonica, sullo scorrimento “naturale” del tempo, affinché potessero emergere ed essere osservabili descrivibili e giudicabili i cicli temporali degli accadimenti nel suo campo reale-ideale con la loro decorrenza temporale. Ed in particolare quelli relativi agli attori attivi nel suo campo, i cittadini della sua città. L’architettura, infine, doveva essere “eterna” (senza tempo, portatrice di un annullamento del tempo) affinché il tempo degli attori, i cives, potesse essere degno di osservazione, memoria, storia.
Perciò pensò, conformemente a quello che pensavano allora in tutto l’occidente cristiano, che l’architettura dovesse ripetere le forme più celebrate, meraviglie4, istruite dalla sapienza costruttiva greco-romana e dal suo codice ornamentale.5
Forse, come pensava Panofsky, questo è il tratto medioevale del rinascimento.
Ma vi è anche un tratto protoilluminista occultato da questa aspirazione medioevale, ed è quello riconosciuto da E. Garin come rivoluzione epistemologica che inaugura una azione architettonica sui quadri topografici della natura, una azione gravida di senso e perciò “progressiva” (o utopica). Questo tratto illuminista e moderno si affermò in Europa nei secoli XVII/XVIII.
Per gli architetti, l’atto inaugurale di questa rivoluzione è l’invenzione di un autore, Filippo Brunelleschi che costruì, come narra il Manetti nella sua biografia, un apparecchio col quale fece l’esperimento che “dimostrava” l’analogia tra la veduta ad occhio nudo e la figura riflessa dallo specchio. Esperimento che accerta la verificabilità metrica della proiettività e conferisce certezza alle misure del disegno in scala fornendo alle definizioni verbali della dispositivo vitruviana, ortografia, ichnografia e scenografia una traduzione grafica e geometrica sistematica ed integrale.
Non procedo su questo tema che è al centro del capitolo… .
Affermo che il potere di penetrazione nella conoscenza del mondo aperto dalla proiettività dello specchio che apre alla veduta, alla fotografia etc. o alla pianta ed alla cartografia è stata la scoperta che ha scatenato la rivoluzione epistemologica del ‘400.
Essa coincide con l’apertura del presente biografico individuale alla storia che inaugura il primato della genesi temporale sul prosieguo della storia il cui impatto sul futuro non costituisce ipoteca dal passato ma passaggio del testimonio tra uomini, generazioni società.
5.
Ricomincio qui dal problema principale d’oggi, a partire dal secolo scorso: la genesi. E dal fatto di cui essa è sostegno l’atto originato nell’ora in cui avviene; e che è testimone di quella ora. E, come tale coincide con lo spirito del “presente” lo zeitgeist. L’istante fulminato dell’illuminazione. E con esso il problema dell’anacronismo dell’architettura: l’arte che contempla la genesi come oltre l’intuizione dell’ora. L’opera che porta l’istante oltre il consumo, cioè l’illuminazione del vero visto e capito oltre l’istante consumato e l’energia che vi si è spesa.
Se si guarda il fatto dal punto di vista degli attori del progetto si evidenzia in quanto detto il tema di una semiologia radicale, del tutto interna all’io che sostiene il tempo, l’istante d’illuminazione fulminato o spento nell’istante seguente quando avverte di aver ritenuto l’illuminazione e ribalta la ritenzione nell’ intenzione di una azione positiva sulle cose. Che non può essere attuata se non in seguito alla convalida di altri che consentono.
Senza esperimento del vero intuito e senza comunicazione e consenso. Cioè senza la conferma pubblica che il vero sperimentato è divenuto senso comune non si può agire socialmente in conformità ad esso vero.
Il quale vero è bensì tale relativamente alle condizioni in cui si produce, quindi non assoluto, ma, entro le sue condizioni non meno vero.
Si manifesta così una semiologia radicale. Essa sgorga dall’io, e da una rivelazione che riguarda il vero del mondo, ma si si estroverte in una “rappresentazione comunicativa” attraverso la quale cade nel senso comune dove attende una convalida pubblica ed il consenso su di un progetto d’azione il quale realizzato in un fatto simbolico-cosale intersomatico si riattiva sempre al presente.
Dal punto di vista schiettamente architettonico, ciò che si costruisce, conformemente al progetto – cioè all’istruzione di una ricerca sul campo estrovertita in una operazione sul campo, conforme all’istruzione e motivata dal progetto – esige preventivamente il consenso che lo rende sensus communis .
Si capisce che si esigono due momenti di conferma per legittimare il l’azione sul mondo: una di pubblicizzazione che estroverte in sensus communis l’illuminazione ritenuta sl vero del mondo; l’altra che ottiene una convalida che estroverte in progetto sociale quanto è recepito come novità per il senso comune.
I due percorsi di accesso al vero e al consenso, convergono con il vero per il sensus communis che legittima l’azione comune sul mondo comune. La quale azione produce il mondo artefatto che si propone a tutti, a sua volta come senso comune messo in esercizio nelle pratiche comuni dell’abitare in comune il campo costruito da tutti: il giardino anonimo che l’opera di tutti concorre a costruire come lo chiamò Carlo Cattaneo.
Paesi, città. Campi costruiti: fatti comuni in comune, dotati di senso per l’uso degli uomini in società. Usi: reiterazioni di atti individuali dotati di senso comune eventualmente cooperanti. Manifestano una competenza di fare cose, case, paesi, città, di capirne il senso, di farne uso. Reiterazione di tempi d’uso presso uno campo di spazio costruito. Reiterazione ciclica, ritmica: stile del tempo d’uso presso campi costruiti. Cronotopia architettonica.
6.
Una semiologia architettonica procede da queste cronotopie instaurate dai fatti che producono un campo artefatto casa/città, nel mondo. Un campo artefatto, ripeto, perché si reiterino presso di loro atti o cicli di tempi d’uso. Coloro che sono coinvolti in questi atti d’abitare, vi manifestano una competenza nel modo di capire come son fatti per abitarvi ed anche come debbono esser fatti per esser capiti ed usati per abitare. Questa attitudine specifica degli uomini, l’opera di adattamento del pensiero al mondo e del mondo alla volontà, istituisce il luogo che manifesta il senso comune di queste cronotopie.
F. Choay6 che ha parlato per prima di semiologia urbanistica, e di competenza di abitare/costruire, ha messo in evidenza la facoltà specifica dell’uomo (che è somatica e intersomatica, istitutiva di senso comune e come tale comunicativa) che si manifesta in questo fare cose/case per uso abitativo e, del pari capirle per l’uso abitativo, disponendovisi e disponendole a sé.
Si tratta di una semiologia per cose/case, cioè di una semiologia non verbale che, coinvolge il corpo intero nei suoi atti e comportamenti d’abitare. Perciò l’ ho chiamata somatica, protendendo nel mio la disciplina dell’architettura, le tesi formulate da Dino Formaggio, sulla teoria della visione e la fenomenologia della tecnica artistica .
La Choay, ha segnalato, poi, l’importanza della parola nell’illuminare le “ragioni” di questa azione architettonica, che pure resta fattuale e costruttiva e perciò somatica e intersomatica. In quell’epoca posmedioevale di discontinuità che Alberti inaugura col suo trattato, che, a sua volta coincide con la scoperta o meglio la divulgazione del trattato di Vitruvio di cui Alberti rivoluziona la struttura facendo della cosa-idea modello di firmitas, utilitas venustas secondo le sei categorie di ex quibus rebus architectura constet, idea-cosa esposta dal disegno conforme ai principi della concinnitas. Ed ovviamente mentalmente producibile in base ai principi della proiettività prospettica che lo stesso Alberti aveva reso geometricamente costruibile nel De Pictura, non a caso dedicata a Brunelleschi che ne era stato lo scopritore.
Alberti, tuttavia, non aveva proceduto ad un racconto architettonico, come aveva fatto a suo tempo Plinio quando aveva descritto loro secondo la sequenza di un le stanze (i loci) e le situazioni da esse inquadrate (imagines) o come avrebbe fatto successivamente Raffaello qu ndo illustrò in una famosa lettera al papa Leone X la villa che aveva progettato per lui.
Aveva, invece definito in un trattato il paradigma dell’invenzione architetocnica secondo l’idea della “proiezione” dalla invenzione mentale esposta nel disegno in scala, alla realizzazione. Aveva trattato dei fondamenti del disegno secondo la concinnitas (numerus, finitio conlocatio). Aveva posto il postulato del principio di ragion sufficiente, per dirla in termini illuministi, del disegno architettonico nella mira a definire la forma della costruzione. Ciò che Sangallo espose magistralmente nel famoso disegno di palazzo Madama.
E’ piuttosto un “professionista nell’uso della parola”, Plinio, che dimostra come proceda la parola nel suo rimando alle cose, nell’incapacità di illustrare la simultaneità delle coesistenze, che viceversa il disegno immediatamente espone in un altro “modo” di rimando alle cose.
A mia volta, perciò, sostengo, a proprosito di “prestiti” tra modi irriducibili, che i prestiti sono stati reciproci. E piuttosto dalla parte della lingua che ha appreso dall’architettura un’arte della diposizione simultanea delle sequenze nella totalità. Che fu considerata nell’amtichità base di una scienza della
memoria che è piuttosto la scienza della consegna ad un fondo materiale, tavola di argilla, legno, papiro pergamena, i suoi fonemi o lettere, per essere ri-letti o detti di nuovo. E non solo, ma in seguito una scienza della sequenza logica ed della ornamentazione gradevole delle frasi. Insomma un’arte della costruzione del discorso per l’oratoria o del dialogo per la filosofia. Mentre l’architettura ha cercato nel discorso i modi per comunicare preventivamente e progettualmente, in assenza delle cose, i loro tipi e caratteri come dimostrano le lettere di Plinio per descrivere agli amici
le proprie case o quella di Raffaello al papa illustrare il progetto di villa Madama. Così d’altra parte il libro nel quattrocento ha sottratto alle cattedrali medioevali la funzione di medium principale di riferimento per consegnare al pubblico dei fedeli un sapere basico comune e, con esso i precetti di una vita virtuosa. Facendo dimenticare il fatto che la cattedrale era un “con-testo” di “fatti” animati da idee.
Insomma i “prestiti” dall’una all’altra struttura semantica sono meno unilateralmente diretti dalla forma verbale a quella fattuale. Né, come voleva Barthes, le strutture semiologiche non verbali, sono conformi alle leggi della lingua. I prestiti sono invece reciproci. Dimostrano una relazione “dialogica” tra forme simboliche diverse che mira a rendere possibile il superamento dei limiti della significazione specifica di ciascuna attraverso invenzioni che derivano dal “tradurre dall’una all’altra forma” i fondamenti che fanno lo specifico di ciascuna che sono altresì carenza propria.
S’intravvede allora un “lavoro” evolutivo di ulteriorizzazione, una ricerca di andare oltre i limiti “naturali” delle facoltà o competenze, quella somatica di fare ad arte, e quella fonica di comunicare pensieri in parole. La prima impedita a comunicare se non per apprendistato e replica di operazioni. L’altra incapace di dare esempi e costretta a rimandare ai fatti. Soprattutto la prima, tutta fatti o effetto di azioni preterite, o memoria d’atti nei fatti, incapace di comunicare la genesi, l’altra tutta genesi, impotente ad oltrepassare l’ora dell’enunciazione. Impotente da sola ad avere effetti.
Cosicchè si profila per il superamento dei reciproci limiti un dialogo fertile e soprattutto la invenzione dei modi per sottrarre l’una all’altro il loro specifico e farlo proprio. Rimando altrove la trattazione (cfr. studi di semiologia architettonica). Qui mi limito a ribadire che il limite della enunciazione fonica delle parole ha scoperto la grafia delle lettere e con essa la possibilità scriverle su di un fondo, lastra o foglio, per essere ri-lette o ri-pronunciate e poter riconsegnare il loro senso.
D’altra parte il processo dell’opera ha dovuto ricorrere alle parole per esporre la genesi del suo effetto e predisporre, onde rifletterlo, l’intero percorso. A sua volta per poter costruire la concatenazione delle frasi in un percorso logico, in un dialogo verisimile, la parola ha dovuto “sottrarre” all’architettura degli edifici la coerenza del loro essere “stabili” nella disposizione e concatenati nella distribuzione o nell’articolazione degli elementi sia nella costruzione nelle membra o stanze nelle sequenze del tipo. Questo d’altra parte ci insegna L’arte della memoria della Yates, nella sua capitale “storia” della istruzione occidentale cioè del modo in cui dai sofisti ad Aristotele, dagli accademici agli stoici e da questi ai tomisti medioevali ed agli umanisti neoplatonici la formazione base della architettura del pensiero, per l’oratore o il filosofo, si sia “fondata” sui prestiti reciproci tra architettura e linguaggio.
Lamento allora quella subalternità unilaterale dell’architettura al linguaggio, per cui dal linguaggio potrebbe procedere il principio della comunicazione architettonica, come vorrebbero alcuni professionisti della parola, ignari dei necessari prestiti reciproci che ancora oggi chiedono di essere messi in essere per tentare i vincoli dei reci proci limiti.
Per questo congedo questo studio benchè imperfetto e abbozzato. Perché percepisco l’urgenza di introdurre questi pensieri nell’agone di una discussione ideale che riproponga il dialogo dialogo davvero “interdisciplinare” tra le forme irriducibili del sapere fattuale e di quello verbale.
Note
1) Documento di condivisione del “fondo” comune, del senso comune, di un intendimento comune del mondo che, proprio come presente esteso (sospeso) collega sapienza del mondo a proiezione al futuro della speranza che sulla fedeltà a tale intendimento si motiva, almeno per un popolo.
2) Infine la “narrazione architettonica dei “fatti” opere di costruzione che nel fondare come luoghi architettonici i siti del mondo, consentono di conferire ai fatti degni di memoria (vissuti memorabili) riferibili ai loro luoghi, (idee_cosa – simbolica di un presente sospeso) i relativi documenti: monumenti (opere d’arte) o libri.
3) Si scopriva il nesso tra manutenzione e condivisione del sensus communis del mondo manufatto comune, cioè delle abitudine d’abitare fondate e sostenute dalla urbs (città) così come tra dismissione ed estinzione di questo valore simbolico.
Si travisava però il senso di questo valore simbolico come se esso fosse ripristinabile insieme al rifacimento della forma che lo fondava sosteneva e non legato al sensus comunis condiviso e testimoniato negli habitus d’abitare dell’era in cui ebbero vigore.
Si travisò insomma la funzione del restauro.
Per un tempo restauro fu soprattutto il complemento del rilievo delle rovine. Cioè il disegno in cui si mostrava per anatomie (ichnografia, ortografia scenografia la sua forma compita. Da un lato come esercizio di operazioni mentali ma dall’altro come modello di ripristino della forma antica.
Col tempo emerse una nozione illuminista di tale valore simbolico e si scoprì l’irreversibilità dell’estinzione decretata nella dismissione. Allora, col termine civiltà e progresso si nominò piuttosto il ciclo temporale evale in cui la conservazione/manutenzione del paradigma strutturale della forma urbana fu condiviso come testimoniato dagli habitus della società urbana che la abitò/conservò.
Si scopriva il potere operante del pensare nel penetrare i fenomeni naturali e nel dirigere le azioni umane in conformità col sapere acquisito.
Un principio di comportamento sapiente divenne: sorvegliarsi nel fare.
Un discrimine tra mondo mediterraneo e pragmatico e mondo nordico e massimalista fu l’idea di teatro della società versus correzione della società.
Dei molti fili aperti per compossibili ricerche da effettuare si vedrà in seguito quali seguirne e come.
Qui occorre segnalare che li riprendiamo all’attenzione e li rimettiamo sotto analisi come feedback dell’ora odierna e del presente odierno che si trova di nuovo alle soglie di mutazioni o trasformazioni epocali.
Forse solo alla necessità di capire fino in fondo la rivoluzione vissuta e lo straniamento delle abitudini condivise e tuttavia non replicabili tal quale. Problema della analogia o replica dell’archetipo in originale.
4) Di cui si ha solo memoria letterari e di cui non vi è esemplare alcuno.
5) Vi era però il problema di come costruire nella mente l’immagine e la forma di questa cosa di cui non vi era esempio alcuno. Sono state molte le operazioni artistiche, metriche, manufatte, ideali:
Dal rilievo, al disegno in scala alla ricostruzione grafica.
Dalla ricostruzione grafica dell’esemplare al modello.
Dal modello tratta dall’esemplare grafico al modello esemplare tratto dal paradigma il cui enunciato è nel postulato albertiano della concinnitas e nei suoi assiomi.
Tutte operazioni compiute da Palladio ed esemplificate nel suo trattato.
Ma l’autore che scoprì attraverso un esperimento il fondamento di verità di tutte queste operazione e soprattutto il modo in cui si integravano in un accordo sistematico atti mentali (del pensiero), opere d’arte e disegni, atti pratici o manufatti e proiezioni ideali, fu B.
6) Altrove riprenderò altri temi sui quali la Choay ha dato contributi capitali: dalla semiologia urbanistica alla competenza di abitare/costruire, al primato del patrimonio (rispetto alle nuove edificazioni) nella costruzione della città.