È opportuno ritornare sul tema del Villaggio Urbano.  Esso emerge in numerosi contributi al n.0 di Arc2città, ma necessita di essere nuovamente preso in considerazione.   Il Call for Papers richiedeva, in realtà, una riflessione, più ampia, sullo spazio pubblico.  E questa specifica riflessione è avvenuta, peraltro con interessanti risvolti, che sono puntualmente evidenziati da Ariela Rivetta, nel suo articolo.[1]

È possibile però proporre per alcuni di questi contributi una interpretazione più puntuale e, deliberatamente, tendenziosa.  Tracciare cioè un filo rosso che lega tra loro queste note sullo spazio pubblico rivelando come, in realtà, si addensino intorno all’idea di villaggio urbano.  Questa operazione di rilettura ci risulta di facile attuazione alla luce dell’illuminante ed articolato contributo di Graham Shane, Urban Village as a Global Condition.[2]  In esso Shane enuncia il tema, e ne sottolinea soprattutto la sua dimensione globale.  Ne evidenzia lo sviluppo ma soprattutto ne afferma una indiscutibile attualità che non può lasciarci indifferenti:  “In a curious paradox, urban villages, sometimes expanded into vast favela city expansions or suburbs, seem to hold the key to the megacity’s future”[3].

Quindi, il fenomeno, peraltro noto, per cui la città contemporanea è costituita da un tessuto di espansione moderna, più o meno pianificato, che “si imbatte” in nuclei preesistenti o comprende successivi insediamenti, con trama di solito più densa, e comunque diversa, diventa la chiave per lo sviluppo della futura megalopoli.  La questione è paradossale, ma suggestiva:  la megalopoli contemporanea deve affidare il suo destino al ruolo che in essa giocano i suoi “accidenti” e cioè i villaggi urbani.   In questo Shane abbandona la visione apocalittica del maggior teorico del tema degli slums, Mike Davies, che in Planet of Slums individua magistralmente il processo ma non ne ammette componenti positive.

Quanto è esplicitamente descritto da Shane aleggia con differenti angolazioni negli altri scritti.  Farina si sofferma sulla “esportazione” dell’interno nel pubblico e, significativamente, cita van Eyck e un progetto di Piet Blom, l’allievo di van Eyck, dove la commistione tra pubblico e privato viene risolta secondo lo schema del mat-building, caro al Team X e più segnatamente agli Smithson.  Più dettagliatamente, di questo tema –  il mat building,  ma soprattutto della sua derivazione dal tema del villaggio spontaneo – si occupa chi scrive nell’articolo Casbah+Meccano.  Viene lì richiamato il noto tentativo, effettuato dalla schiera degli architetti del Team X, di proposizione di un edificio ibrido che possa fondere le istanze razionalcostruttive del moderno con una “spontaneità organizzata” interprete della tradizione insediativa vernacolare.  Il villaggio urbano quindi, anziché configurarsi come polo distinto dalla maglia della città moderna – il fenomeno descritto da Shane – si veniva a condensare  in straordinari edifici quali l’Ospedale di Venezia o l’Università Libera di Berlino:  la sintesi anziché il confronto.

Il tema del vuoto viene appropriatamente richiamato sia da Toscani che da Daidone, secondo le varie declinazioni (terrain vague, wasteland etc.)  Ma la questione ci permette di individuare una importante sfumatura riguardo l’urban village.  Il fenomeno infatti si manifesta sì come incontro  della città moderna che si espande sul preesistente, ma i villaggi urbani si vengono a creare spesso come riempimenti di vuoti urbani.  Possono essere vuoti di ampia dimensione, dovuti ad erosioni (danni bellici, dismissione di infrastrutture … ), come nel caso del progetto a Francoforte di Candilis, Josic e Woods.  Ma può trattarsi di riempimento di vuoti diffusi dovuti alla bassa densità della urbanistica razionalistica.  Gli edifici “liberi” del movimento moderno, svincolati come sono da strada e lotto, lasciano libera una superflua quantità di vuoto generico, notoriamente incolmabile ed ingestibile.  Esso è spesso genericamente destinato ad un improbabile ed indefinito “verde”.  Ma sempre di più diventa sede di una edilizia “di riempimento”.  Fenomeno diffuso da decenni in America Latina ed adesso frequentissimo in Africa ma soprattutto nelle grandi conurbazioni asiatiche.  I villaggi urbani quindi come luogo della spontaneità illegittima vs. la legalità astratta.

Altri interventi (Degli Esposti, Bischeri, Vercellotti) ci permettono di notare ulteriori specificità, richiamando in causa anche le pertinenti notazioni di Lynch e di Alexander, quest’ultimo anche lui esponente notevole della corrente che ha difeso la spontaneità circostanziale nell’uso dello spazio rispetto alle differenziazioni programmatiche. Alexander e Lynch costituiscono il ponte tra Team X e un filone di pensiero che risale all’inizio del secolo e che è bene attenzionare data la sua importanza: “Il villaggio rappresenta il paradigma metaforico verso cui tende una sinuosa, ma riconoscibile linea di ricerca sulla progettazione delle parti urbane di nuova edificazione, che attraversa in diagonale l’intera vicenda del nostro secolo.”[4]

In questa vicenda un personaggio chiave è il ben noto Patrick Geddes. La sua nozione di eutopia e il ruolo che riconosce ai villaggi sono fondamentali nella genesi di questo pensiero e non è un caso, sebbene il fatto non sia così noto, che Geddes fu fortemente influente sul Team X.[5]

Tutto ciò ci induce a riflettere su come la giustapposizione tra una maglia spesso rigida e pianificata e nuclei o “canali” di edilizia minuta e più compatta sia un grande tema per il progetto urbano contemporaneo.  Come, proprio tale convivenza, possa costituire un elemento di ricchezza per la città.

La questione viene riproposta in alcuni contributi al numero n.1.  Filippetti, ad esempio, individua il Mediterraneo come modello di “zona di contatto” in cui si sovrappongono sistemi preesistenti e nuovi significati.  Selva invece riflette ancora sulla casbah come modello per l’intervento contemporaneo.


[1]. Cfr. Ariela Rivetta, La formula e i temi, in Arc2città, n. 0, Luglio 2012.

[2]. Graham Shane,  in Arc2città, n. 0, Luglio 2012.

[3]. Ibidem.

[4]. Benedetto Gravagnuolo, La progettazione urbana in Europa. 1750-1960, Bari 1991,  p. 89.

[5]. Cfr. “Post–war CIAM, Team X, and the Influence of Patrick Geddes Five Annotations by Volker M. Welter”, in CIAM Team 10, the English Context, Papers from a report on the expert meeting, held at the Faculty of Architecture, TU Delft, on November 5th 2001, pp. 87-110;  non è secondario il ruolo all’interno dei CIAM di Jaqueline Tyrwhitt, cfr. Jaqueline Tyrwhitt, ‘The Valley Section. Patrick Geddes’ World Image’, in Journal of the Town Planning Institute, 38 (1951), January, pp. 61-66.

 

 NOTES ON URBAN VILLAGES AS GLOBAL CONDITION. D.G.Shane

MAT-BUILDING COME ELEMENTO DELLA CITTÀ – VILLAGGIO. Giovanna Licari

DAL VILLAGGIO ALLA CITTÀ. PAESAGGI URBANI NELLE PERIFERIE DI DAKAR. Roberto Filippetti

LA CASBAH COME MODELLO DEL PROGETTO CONTEMPORANEO: LA RICERCA DI IDENTITÀ NELL’ARTICOLAZIONE DI SPAZI COMPLESSI. Caterina Selva

 


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