A conclusione di oltre dieci anni di lavoro sul tema del restauro del moderno, di cui gli ultimi sei condotti da me in quanto coordinatore, sta per essere pubblicato un Quaderno del Dottorato di Palermo che rappresenta la sintesi di questa esperienza.
Sono stati anni a mio avviso molto significativi, in quanto hanno permesso di mettere a punto in modo evidente l’ipotesi iniziale di centrare il lavoro del Dottorato sul progetto, e in particolare sulla scienza del progetto: titolo-base permanente di questi anni, su cui si è innestato, dopo un anno di prova, quello del restauro del moderno. Il primo anno, infatti, si è scelto di svolgere un progetto sul tema della casa temporanea, localizzata in un sito molto particolare, molto suggestivo, sul mare nei pressi di Palermo.
L’esperienza del progetto nel Dottorato è stata impostata sin dall’inizio con un programma che prevedeva una fase di studio iniziale, condotta in modo diverso negli anni e che ha preso una parte del primo anno di lavoro, poi una fase di progettazione fino alla conclusione del secondo anno, con il terzo dedicato alla scrittura del progetto, alle riflessioni cioè sul percorso compiuto, che mostrasse la scientificità dell’operazione condotta attraverso il processo progettuale.
Il tema della scientificità del progetto è stato quindi il tema centrale dell’operazione compiuta: è un tema strettamente attinente al senso del Dottorato, all’interno del quale deve essere condotto un lavoro che abbia i connotati della scientificità, quindi non può basarsi su un progetto comunque elaborato.
Il progetto ha questi connotati se si pone a base una teoria della progettazione che sostiene che “l’architettura è una scienza, appartiene in generale al processo di conoscenza e si costruisce attraverso un insieme di regole individuate”[1], come scrive Monestiroli, riprendendo le posizioni della Tendenza italiana degli anni sessanta-settanta, in particolare quelle di Aldo Rossi e Giorgio Grassi espresse nei testi che hanno costituito un fondamento per la nostra generazione, L’architettura della città (o anche Architettura per i musei, in Teoria della progettazione), e La costruzione logica dell’architettura[2]: tutti libri della seconda metà degli anni sessanta.
Pensiamo, per fare un esempio, alla conduzione del Dottorato di Venezia per un certo periodo, in particolare durante il coordinamento di Polesello, in corrispondenza con il primo incontro dei dottorati in Progettazione italiani a Milano nel 1995 e con i primi numeri di “Arc”, la rivista dei dottorati diretta da Ernesto D’Alfonso. In quel caso, una certa omogeneità del Collegio dei docenti ha consentito una progettazione in continuità col processo progettuale dei tutor, quasi un “progetto in stile”[3].
Il nostro Dottorato, tuttavia, non si riconosce nel suo complesso in queste posizioni, e quindi il percorso che porta a una elaborazione scientifica si è svolto secondo modi più articolati.
Ritengo che l’esperienza del primo anno, di un progetto sulla casa temporanea sul mare di Mondello, abbia avuto un risultato solo in parte compiuto, in quanto il tema, e in particolare la suggestione del luogo, hanno avuto un peso tale da mettere in dubbio la scientificità dell’operazione: che si è svolta soprattutto con caratteristiche più simili a quelle di un progetto di laurea che non a uno di dottorato.
Invece, affrontare il tema del progetto di restauro del moderno ha permesso di porsi in modo diverso: analizzare una serie di edifici più o meno conclamati ha comportato la messa in luce di un sistema di regole relative al processo progettuale, trattandosi di elaborazioni non fondate su un puro atto intuitivo, ma su una costruzione razionale da cui ricavare dei principi.
È un tipo di scientificità a posteriori di cui scrive Purini[4], che nega la possibilità di una scientificità a priori, essendo per lui l’architettura un’arte scientifica, oppure una scienza artistica[5].
La questione delle regole, dei principi del progetto è per me fondamentale, in quanto consente un percorso che, anche nella fase dell’ideazione, assume un carattere di scientificità, perché il progetto si struttura a partire da elementi certi. Legandosi in questo modo a una tradizione italiana che, a partire dai maestri Samonà, Quaroni, Muratori e altri, si è sviluppata negli anni del dopoguerra, dando all’architettura del nostro paese una connotazione specifica, poco sviluppata in altre nazioni, e fatta di attenzione a una elaborazione teorica, al rapporto con la città e il territorio, alla relazione con la storia, a un impegno civile. Questa tradizione è oggi messa in discussione dalle ultime generazioni, che aspirano ad assumere acriticamente elaborazioni sviluppate da altri. Esse conducono a un prodotto che è una riproduzione imperfetta di architetture che tendono a un risultato separato dagli statuti della disciplina, e volto a un rapporto diretto con l’arte.
La disciplina architettonica, invece, si fonda per me sulle nozioni di ordine, perché non esiste forma se non all’interno di un ordine, come sostiene Kahn[6], e di costruzione, seguendo gli aforismi di Perret: “La costruzione è la lingua materna dell’architettura, l’architetto è un poeta che pensa e parla in costruzione”[7].
Sono due nozioni oggi in forte discussione, e che devono essere rimesse al centro dell’elaborazione, soprattutto al livello dei dottorati.
Del nostro Dottorato hanno fatto parte anche docenti di Restauro, che hanno concordato sulla nozione di restauro come progetto, facente parte integrante cioè della disciplina architettonica.
Ritengo che questo sia stato il nostro principale contributo nel Dottorato, che viene esemplificato nei due Quaderni già editi[8] e in quello in corso di pubblicazione. Questo contributo ha costituito una specificità riconoscibile nel nostro lavoro rispetto ad altri dottorati italiani.
[1] A. Monestiroli, La metopa e il triglifo, Laterza, Roma-Bari 2002. Si tratta evidentemente di una posizione in continuità con quella di Vitruvio.
[2] A. Rossi, L’architettura della città, Padova 1966; G. Grassi, La costruzione logica dell’architettura, Padova 1967.
[3] F. Purini, E tutto ciò sarà un bel problema, in “Arc” n.2, 1997.
[4] F. Purini, La scena nuova, in “Arc” n.8, 2002.
[5] F. Purini, Necessità, molteplicità e contraddittorietà della teoria, in “Parametro” n.267, 2007.
[6] Louis Kahn, a cura di R. Giurgola, Zanichelli, Bologna 1972.
[7] A. Perret, Contribution à une théorie de l’architecture, 1952, in Gargiani, R.: Auguste Perret 1874-1954, Electa, Milano 1993.
[8] Il progetto nel restauro del moderno, L’Epos, Palermo 2007, e Il restauro del moderno in Italia e in Europa, a cura di E. Palazzotto, FrancoAngeli, Milano 2011.