Concentrandosi su una caratteristica che, nonostante il panorama eterogeneo, è comune a molti slum, si vuole osservare non tanto l’edificato dell’abitato informale quanto lo spazio aperto modellato nell’intreccio di strette vie che si insinuano fra le abitazioni abusive. I fenomeni di autocostruzione spontanea avvenuta senza un disegno preciso ma solo per aggiunta e aggregazione di parti, ha dato origine a formazioni disorganizzate, spesso problematiche e non riferibili ad alcun modello di lettura urbana convenzionale ma, proprio del labirinto costruito da superfici ristrette e da bordi ravvicinati è possibile rintracciare la scala di rapporti spaziali tipica di alcune zone delle città mediterranee. Muovendo dalla suggestione presente in tale contesto emerge la necessità di lavorare sul margine dell’edificato definendolo in relazione al vuoto e sfruttando le porzioni libere che, spesso a causa delle loro dimensioni e proporzioni, vengono normalmente ignorate come possibile risorsa nel sistema degli spazi di interazione. Sono proprio queste aree interstiziali che possono diventare opportunità per una nuova forma di progettazione sociale: attraverso un sistema che lavora sulle porosità e che costruisce una rete tra nuove centralità – costruite sulla verticalità – e i punti di compressione del tessuto informale, è possibile strutturare una nuova chiave interpretativa ed operativa per intervenire in contesti così complessi?
“Quando si inizia a rendere formale uno slum _ perché ha bisogno di un sistema di infrastrutture formali _ si deve cominciare a pensare alla città del 21° secolo, un tipo di città stratificata su più livelli, in cui i confini tra pubblico e privato si confondono” Alfredo Brillembourg.
La volontà di restituire significato ad un ambito urbano in cui un fenomeno franoso ha demolito le baracche abusive presenti, porta l’amministrazione di San Paolo in Brasile ad affidare al gruppo Urban-Think Tank la progettazione di una nuova centralità all’interno dello slum di Paraisolpolis, di un edificio – elemento catalizzatore – in grado di dare carattere allo spazio circostante restituendogli la sua funzione pubblica e preservandolo da una nuova successiva occupazione e di rispondere su più livelli alle richieste urbane e sociali. Domanda di spazio pubblico, di ambiti che riducano la densità edificata, di luoghi di incontro e scambio, totalmente assenti all’interno di questo abitato informale. Domanda di strutture sociali che possano costituire un tassello per la costruzione di un futuro diverso per la popolazione dello slum, che muovano energie collettive ed economiche. Domanda di sicurezza ambientale dagli eventi naturali provocati dal dissesto idrogeologico dell’area. In questo modo un vuoto di senso prima ancora che fisico da criticità – un’area da preservare dalla successiva occupazione illegale – può diventare spazio pubblico. Il primo aspetto su cui il progetto interviene è quello topografico: la particolare conformazione del terreno in relazione alle precipitazioni è ciò che causa in quest’area le frane e gli smottamenti. Emerge pertanto la necessità di disegnare un nuovo profilo per stabilizzare il terreno: attraverso terrazzamenti permeabili è possibile aumentare la superficie di terreno drenante e garantire un corretto flusso idrico utile anche ad accumulare in cisterne le acque in eccesso utilizzate, a seguito di processi di fitodepurazione, per l’irrigazione o all’interno degli edifici per usi non potabili. L’acqua che distrugge diventa così una risorsa. La predisposizione di aree coltivabili diventa un valore aggiunto per gli abitanti dello slum non solo in termini economici ma in termini di relazione sociale e di capacità di costituire un senso civico che generalmente è assente in questi contesti proprio per la loro natura di spazi altri rispetto all’urbano.
L’architettura è pensata nella sua relazione con il nuovo paesaggio modellato al suo intorno che a sua volta si lega al tessuto dell’abitato informale che lo circonda: il rapporto costante emerge già nelle scelte tipologiche e materiche ma appare ancora più evidente osservando la scelta di aprire percorsi, disegnare passerelle, lavorare a diversi livelli altimetrici per garantire differenti accessi all’area e quindi al nuovo centro del quartiere. Il progetto architettonico si articola in alcune strutture abitative poste nella parte più alta dell’intervento destinate a coloro che devono essere trasferiti dalle zone a maggiore rischio idrogeologico e in un edificio pubblico collocato invece nella parte inferiore del sito che diventa il vero cuore del progetto. Alla quota più bassa un campo sportivo aperto ma coperto che può essere utilizzato anche per eventi e occasioni di incontro grazie alla sua posizione strettamente relazionata con lo spazio ad arena naturale costruito dai gradoni, mentre ai livelli superiori una scuola di musica con relativa sala per le rappresentazioni il cui scopo è quello di proporre nuove attività di socializzazione ma anche di cultura che diano un ruolo a questa porzione di città anche grazie a nuove possibili relazioni con il territorio circostante. Accanto a questi una serie di spazi commerciali relazionati con la strada alla quota più bassa che garantiscano apporti economici indispensabili come motore economico della struttura ma anche per mantenere una relazione dell’intervento con la rete infrastrutturale. Considerando il clima tipico della città di San Paolo che è di tipo subtropicale caldo e umido, il progetto ne tiene conto sfruttando questo fattore con un approccio passivo che lavora schermando la radiazione solare diretta riducendo in questo modo gli apporti solari e, contemporaneamente, sfruttando la corrente naturale proveniente da sud-est.
Un ruolo fondamentale, oltre al volume che ospita i sistemi di risalita e che funziona come camino d’aria, è costituito dall’involucro edilizio, progettato proprio in funzione della sua capacità di interagire con il contesto. Una serie di elementi in cemento – realizzati localmente all’interno di meccanismi di microeconomia – di dimensioni variabili ma riconducibili ad un cubo o ad un semicubo cavo, vengono disposti, affiancati, allineati a costituire la facciata: la loro inclinazione e la loro disposizione nel progetto, garantiscono l’ottimo funzionamento climatico permettendo l’ombreggiatura ma contemporaneamente la ventilazione. Anche al terzo livello, quello della sala per le rappresentazioni e i concerti, in cui l’utilizzo di un altro materiale evidenzia la differente funzione, grazie ad aggetti e rotazioni degli elementi schermanti, viene mantenuta la scelta dell’approccio climatico passivo che funzioni anche in assenza di sistemi di condizionamento tradizionali.
Ad integrazione, oltre alla predisposizione di pannelli ibridi fotovoltaico-termici sul tetto che garantiscono una produzione di 150000 KWh/a, è stato studiato un sistema di tubazioni posizionate nei solai in cui scorre acqua raffreddata durante le ore notturne che contribuisce alla riduzione della temperatura interna assorbe parte del calore.
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