Le volte scorse si è trattato di tempo e di spazio per l’architettura oggi si deve portare l’attenzione, su ciò che li sostiene: cioè il “corpo” e, per quanto riguarda l’architettura, il corpo architettonico, che un tempo si chiamava “fabbrica” e che è “fabbrica urbana” che sia tipo edilizio o forma urbana. Dunque sull’invecchiamento o l’incapacità di funzionare adeguatamente. Il che comporta periodici interventi di riparazione, o sostituzione di parti (fabbricati nei propri lotti o intiere parti urbane, blocchi isolati) anche con parti diverse, con demolizioni e riforme strutturali, con addizioni più o meno ampie che richiedono riforme strutturali, infine con addizioni/trasformazioni strutturali che determinano vere e proprie “rivoluzioni” di struttura/funzionamento del corpo urbano. Tutte queste operazioni, vere e proprie azioni di ricambio urbano, o meglio di metabolismo urbano artificiale[1], rimuovono invecchiamento e disfunzione, infondono nuova energia alla struttura urbana e ne marcano i momenti di rinascita o riattivazione. Tutte, ripeto, sono motivate da una visione del futuro e dalle relative attese. E messe a punto da un progetto architettonico. Progetto architettonico e metabolismo urbanosono coniugati nell’azione di rinnovare il vigore del corpo urbano con il rimuoverne l’incapacità di funzionare.
D’altra parte, l’opera che rinnova la città, ne marca le ore: in particolare le ore di crisi[2] che reclamano, più delle altre, l’azione di un progetto, la ricerca del “perché la crisi” e del “come resistere”, o meglio trovare uno sbocco.
Perciò si mette in esercizio quella competenza umana (nel senso forte di Chomsky e di Choay) che sostiene la “volontà” e l’ “intenzione” del ricercare fino a scoprire. Il cui sforzo specifico nel procedere è come ritenere i tentativi falliti o riusciti (le illuminazioni) e come memorizzarli (simbolizzare) perchè in questo lavorio di ritenzione e simbolizzazione ci si imbatte, frequentemente nelle scoperte stesse.
Nell’ora della crisi, per di più, vi è da marcare il rifiuto di ripetere i procedimenti anteriori e di ricominciare daccapo. É l’avvio di una “discontinuità efficiente” perciò siglata dall’opera stessa.
Per non procedere in astratto, ricordo che questo fatto è intuizione, nel primo decennio del XX secolo, del “futurismo”, rottura della continuità col passato per aderire al proprio tempo. Si è chiamato valore di contemporaneità contro il valore di antichità, ed è stato guardato come valore che genera la storia. E non che ripete il già fatto.
Basta leggere il manifesto dell’architettura futurista di Sant’Elia, e richiamare i disegni della città futurista che lo esemplificano in un progetto di città, per intendere il valore di contemporaneità come condizione per sintonizzarsi con lo spirito del tempo (zeitgeist) e per segnare l’ora di una biografia urbana che costituisce lo specifico della storia urbana. Forse nel prestare orecchio, oggi, a quell’entusiasmo della propria ora, è passato abbastanza tempo per respingere la radicalità della tabula rasa che colorava di autodistruzione nichilista l’aspettativa di futuro. L’ho richiamato solo per l’obbligo d’oggi di far propria la scelta di allora e ribadire il valore di contemporaneità come generatore di storia.
Ma non annichilatore di storia.
Per ribadire che Biografia urbana, metabolismo urbano, e progetto architettonico urbano, sono stretti in un unico nodo di interdipendenze operanti. Ma non per perpetuare il percorso compiuto e i suoi principi e intendimenti, ma per affrontare con fermezza, come allora, il compito di capire ciò che, di nuovo, viene sotto gli occhi, come ignoto ed inedito mondo urbano di fronte ad un crescere concentrasi, condensarsi delle persone e delle attività; per mobilitare risorse ed energie in una azione di riforma urbana capace di sostenere il procedere dell’azione sociale nel tempo che si apre al futuro.
Qui s’introduce una intenzione estranea al modo futurista e annichilatore d’intendere lo spirito del tempo. Il modo della co-presenza, specifico dell’esser presente delle forme architettoniche.
Lo qualifico con i termini della felice intuizione di H. Focillon in La vie des formes: presente esteso a partire da un momento evento che inaugura un presente duraturo e coesistente con quello delle preesistenze sussistenti.
In altre parole, Biografia urbana, metabolismo urbano, e progetto architettonico urbano, si stringono in una interdipendenza operosa nell’atto di “inaugurare” uno “stato” di “presente esteso” cioè l’origine di un arco di tempo durante il quale la forma stessa (progettata e costruita) si offre alla frequentazione ed all’uso – come impronta di campo artificiale abitabile, dal cui fondo spicca in elevazione l’edificato che lo perimetra o contiene, qualificato da una immagine – . Una forma che sostituisce ciò che, rimosso, va in discarica ma che, non rimuovendo il resto, convive con lui. Il quale, a sua volta coabitando, inizia un processo di adattamento.
Il termine biografia urbana si sostanzia di queste ore d’operazione e delle mutazioni della propria forma soprattutto se sono “mutazioni” paradigmatiche che istruiscono la struttura nel sostenere rinnovati ed efficienti[1] funzionamenti.
Nascita, rinovamento, riforma, la condizione perchè cada al momento giusto è che aderisca allo spirito del tempo per poterene intuiree il “verso” della mutazione ed esprimerlo in una “forma” riconosciuta e condivisa. Nella forma, ripeto, che comincia ad appellare all’uso (del come e perchè è monumento), sempre al presente, coloro i quali come utenti si faranno presenti facendone presenza cooperante con la loro azione.
Accogliendo il termine “presente esteso” di Focillon ne sostengo il valore di “non” passato e perciò altro dal presente “vivente” degli individui, rispetto al quale è sempre anacronistico, perchè già da prima presente e ancora poi presente. Lo intendo collimante con il modo del tempo in architettura, l’anacronia rispetto allo scorrere intimo del tempo soggettivo. Di conseguenza che anonimo sia il concepimento nel progetto. Anonimato che non pregiudica il valore del lavoro individuale e personale di chi, ricercando secondo un’intenzione, intuisce la natura dei fenomeni secondo i quali si manifesta il mondo e inventa i modi di renderli operanti marcando contemporaneamente i moniti del valore dell’ “ora” di scoperta. Che non vale in quanto “ora di colui che l’ha fatta”, ma in quanto “ora d’invenzione – scoparta di fattibilità o di appartenenza al “vero” del mondo (capacità di attualizzazione, sostenuta da consenso confermata dagli usi).
Qui mi arresto. Torno alla discontinuità della genesi ed al principio di contemporaneità che ne inaugura l’aderenza allo spirito del momento. Torno, insomma, alla scoperta del “Futurismo” di Boccioni e Sant’Elia, non solo di Marinetti. All’idea della città che sale non solo cresce.[2] E diviene groβstadt ingovernabile dagli strumenti del piano regolatore ottocentesco e reclamante nuovi modelli paradigmatici (cui Hillberheimer e Le Corbusier dettero le prime formulazioni) che esprimessero la ricerca in sintonia con lo zeitgeist della groβstadt
Torno ripeto per segnalare che l’aderire alla modernità oggi comporta la nozione di una coesistenza con successive ore “di discontinuità” imposte dal “riorientamento del giudizio” di fronte conflitti di valore.
In particolare sull’esclusività dei valori su cui le nostre società occidentali hanno basato la loro convivenza civile. Perchè altre forme di convivenza possano essere contemplate e i valori stessi messi alla prova. Al fine dunque di più condivise forme di convivenza civile.
In proposito segnalo l’importanza che ha assunto ai nostri occhi la questione delle forme urbane indisciplinate o “spontanee”, come le favelas che, con nomi diversi, proliferano dovunque le città mostrino lo sviluppo esplosivo d’oggi. Non tanto in quanto a-legali, ma in quanto non conformi alle “regole” del comportamento nel costruire la città condiviso nella cultura occidentale. E tuttavia non privo di ragioni.
Perciò, oggi, piuttosto che illegali si chiamano, genericamente, in-formali. Esse si pongono a confronto, e spesso in alternativa con le forme più brillanti e “up to date” dell’architettura d’oggi come reciprocamente esclusive ed escludenti. Mentre si vede bene che coesistono. Anzi che appaiono persino sinergiche. E che si alimentano reciprocamente.
Così nell’interrogarci sul giusto, col nome profit/no profit l’indisgiunto binomio che riassume l’intero fenomeno della dinamica urbana d’oggi, apriamo il confronto tra diverse situazioni urbane informali, africane, indiane, brasiliane… per interrogarci sul come.
A confronto pongo il diagramma delle epoche della biografia urbana delle città europee che pare inconfrontabile con la accelerazione dinamica delle mutazioni odierne. Eppure che deve misurarsi con esse.
[1] Col termine metabolismo urbano artificiale intendo distinguere il fondamento di realtà di questa particolare forma di ricambio, non naturale, come dimostrano le rovine, e nel contempo prendere le distanze dalla nozione di metabolismo motivato da intenti antiumanistici, che ricerca l'innesco di processi automatici non-intenzionali di ricambio urbano sorgente dalla collaborazione di procedimenti scientifici e tecnologici con la natura. Penso che l'intenzione motivante la ricerca e l'invenzione sperimentale che sorge da questo lavoro siano insostituibili. [2] Penso che le ore di avvertita impotenza che generano il bisogno dell'azione (rinnovo della struttura e del funzionamento urbano in questo caso) siano quelle entro le quali, e contro le quali, si mette in moto la ricerca di uscita dall'impotenza stessa [3] Di questo riferisce il termine biografia, di mutazioni paradigmatiche che inaugurano nuove epoche secondo invenzioni e scoperte che istruiscono e forniscono gli strumenti per una azione individuale più socialmente integrata. [4] Alla discontinuità per il sentimento del tempo proprio irriducibile a quello di pochi decenni prima, ai loro principi ed alle loro strutture e forme. Discontinuità per la necessità di rivoluzioni paradigmatiche conseguenti all'impotenza delle strutture pregresse a sostenere l’elevazione di scala. E che comportano rilevanti problemi di democrazia e di consenso.