Innazitutto il titolo: Scrittura, ricerca, comunicazione.

Dovrei partire da comunicazione, che è termine più pregnante di pubblicistica ed era il precedente titolo. Ma preferisco partire da scrittura, ricordando il testo sulla grammatologia di Derrida al quale farò cenno in seguito discutendo due suoi scritti per Arc e Arcduecittà di F. Purini. Ma prima che di scrittura parlerò di lettura. E di una lettura di cose. Non di parole. Leggere per l’architettura è l’opera costruita, la “fabbrica”. Ed il disegno che ne è progetto, oggi, a partire da un certo tempo. Leggere, allora coincide con percepire nel praticare, cioè visitando la fabbrica, che, la prima volta è esplorazione. E percepire non è leggere. Come disegnare non è scrivere parole. Ma percepire non è per la disciplina architettonica vedere. Il primato del tattile rispetto al visivo. E dopo l’invenzione del disegno del tattile nel visivo. Geometria analitica infinitesimale : il tattile nel visivo. Diversamente da Panofsky la prospettiva è forma simbolica non solo e tanto perché diversa dalla visione reale, ma perché tattilità nel visivo sulla superficie piana, perciò Panofsky ci indica attraverso il suo libro il problema della tattilità, prima ed oltre il problema del tempo. Chiamando in causa percezione e tattilità, emerge ciò che, irriducibile alla vista (ed all’udito) è sostanza della costruzione nel mondo, e secondo il mondo come condizione di esistenza.

Allora la scrittura riguarda le regole della costruzione per l’architetto, affinchè la sua opera possa essere esplorata ed abitata. E sono molte, e varie: Multas et varias artes occorrono all’architetto per la sua sintesi. E ne nomina il contenuto nelle sei categorie di ex quibus rebus architectura constet. Delle quali la prima coppia, l’equilibrio statico della fabbrica che determina il rapporto tra corpi chiusi e spazi “inclusi” ed esclusi, la seconda coppia, misura e ritmo o numero e metrica temporale, la terza coppia le connotazioni di stato antropologico-sociale come “habitus” conveniente per il senso comune. E, albertianamente, una volta inventato il disegno più esplicitamente grammaticali e sintattiche, numerus, finitio conlocatio. Ma oggi, occorrono nuovi nomi. Ed abbiamo pensato da un mix di antico e moderno. Due parole antiche per denotare lo stato degli uomini, due moderne per indicare lo stato dell’architettura oggi. Da qui le idee di Arcduecittà:

1. La prima idea: Ospite, habitus, landmark, set. Dal numero prova

Alle prese, come siamo, con una mappatura multiscala del mondo, occorre inventare inedite forme di autoistruzione permanente promuovendo il lavoro di tutti quanti in questi anni hanno saputo guardare dal loro lato al problema della città e dell’architettura; e promuovere la capacità di declinare nell’oggi una speranza futurista, sapiente del realismo lombardo e della sua genealogia politecnica ascendente a Carlo Cattaneo; per la cultura dell’identità locale (integrante o ospitale) aperta alla globalità, che si progetta al futuro si impone il tema Misura e scala. Abbiamo, perciò pensato di riproporre ARC in una nuova stagione, in una veste digitale, per un più ampio pubblico. E si chiama ArcDueCittà.

Nel breve arco di un decennio, periodo che ci separa dall’ultima uscita di Arc, abbiamo assistito a nuove trasformazioni dei fatti urbani, a nuovi studi sulla città, si sono delineati ulteriori filoni di ricerca aperti ai temi correnti del sostenibile e dell’ambiente.

Lo spazio entro il quale abbiamo declinato il tema è rappresentato dalle quattro sezioni – urban design – architectural and ingeneer design – interior design and visual art – virtual design. E sono emerse alcune parole chiave – habitus, landmark, set, ospite – che rinnovano l’idea più potente della modernità: quella di una cittadinanza universale a cui l’architettura, alle diverse scale, può offrire i luoghi simbolo di un incontro globale. D’altra parte Lorenzo Degli Esposti guarda alla metropoli come luogo di coesistenza degli opposti, opulenti e indigenti “nella simile natura di ospiti“ e Andrea Vercellotti affronta il tema dell’habitus locale degli interni urbani come espressione e costruzione della coesistenza. Nella stessa direzione muove Matteo Fraschini che a partire dal valore urbano del tipo architettonico – landmark di parco a tema – introduce i temi della stratificazione del suolo, dei set di scene, del rapporto tra pratica, procedimento artistico e regola. Il tema del disegno digitale nel progetto è affrontata da Giuseppe Boi e Roberto Podda nella sezione virtual design.-

2. Chi siamo, si è detto, con Ariela Rivetta che cura Paper from call, sei dottori del Politecnico e con me, la squadra originaria.

3. La potenza del digitale: economia di gestione e diffusione globale. Perciò la discussione se italiano o inglese e la scelta: entrambe con diversi contenuti. Papers from World

4. La strutturazione editoriale. Due testate, una rivista e quaderni di Arcduecittà.

5. I tre numeri. Manifesto, n°0, n°1. Open Access, Libreria ed E-book. L’alleanza con Altralinea.

6. Le novità del numero 1. L’apertura ai giovanissimi. Il gruppo romano. Una nuova squadra?

Un destino ? Ricerca o professione. E il mestiere? Insuccessi e rettifiche.

7. Una discussione poliennale con Franco Purini. Un dialogo aperto con Benvenuto, Polesello ed altri. Arc n° 2 1997. la multipla delegittimazione dell’architettura in un’epoca di utopia realizzata che sconcerta e di parole leader trasversali che disorientano.

8. Aforismi da Arcduecittà n° 1. Centralità di Terragni.

10. I manifesti dei giovanissimi architetti romani:  Marta Burrai, Giada Domenici, Giovanni Pernazza, Alessandra Tenchini, Pietro Zampetti

E il manifesto della milanese Lorena Antea Caruana.


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