“Vi sono alcuni periodi di civiltà che assumono forma e carattere per lo splendore di un solo linguaggio; altri, rarissimi, nei quali i vari mondi espressivi consonano per infinità di accordi e insieme raggiungono una densa maturità; sono i tempi felici di Pericle o del primo Rinascimento o dello straordinario Seicento. Un linguaggio unitario nasce, opera faustiana di pochi spiriti, da un ordinamento e da una classificazione, in fondamentali e secondari, degli infiniti parametri della realtà e delle loro relazioni. Lo spazio diventa così unitario, risolvibile ed esprimibile in ogni punto, e specchio di una nuova equilibrata unità dell’uomo.”
“Quando un linguaggio è veramente universale convoglia a sè spazi di luoghi e tempi amplissimi.Sono i periodi d’oro. Le grandi opere specchio di questi periodi sono estremamente semplici. Si analizzi come esemplare la Rotonda di Palladio. “
“Lo spazio palladiano è astratto da ogni riferimento di natura, generale o peculiare circostante, e da ogni relazione con gli umani. Non ha venti dominanti, direzione di accesso, particolari vedute; il sole vi rotea attorno circolarmente, esso, signore, divenuto pianeta. Spazio indifferente, geometrico, traversato soltanteo dal fascio innumerabile parallelo delle precipiti forze del peso- arcangeli abbattuti- fermate e pur loro vinte ed annullate nell’atto in cui vi si impietrano colonne e muri. La perennità del linguaggio raggiunta da Palladio nella “Rotonda” è palesemente dovuta alla completa soluzione di parametri ridotti all’essenziale, anzi ad uno solo: a quel puro algoritmo del costruire,che staticizza, rende immutabile, l’unica mutabilità rimasto nello spazio dopo l’astrazione della natura.
Il processo formale dell’astrazione dai riferimenti naturali è semplice: il porticato templare ripetuto identico sulle quattro fronti toglie alle colonne, agli architravi, ai portali la utilitas , cioè la funzione e l’abitudine umana, e li solleva nella atmosfera della pura relazione costruttiva. I parametri secondari – difesa dalla pioggia, dal vento, dal caldo e dal freddo, necessità di giacere e di posarsi, ecc- non sono ignorati o espunti: discendono, risolti, come radici di un ordine superiore, dallo sviluppo automatico dell’algoritmo.
Le stesse proporzioni delle membrature architettoniche della Rotonda- le divine proporzioni palladiane- diventano un ordine secondario; non si aggronderebbe il sopracciglio di Giove se ad esempio l’altezza dell’imbasamento o della fascia del piano di coronamento fosse alquanto maggiore o minore. Contano le relazioni generali e i rapporti non metrici che le rilevano; le proporzioni hanno invece dei laschi e così dicasi per gli ornati o le sagomature e cioè per il complesso delle relazioni plastiche.”
Img. 1: da sinistra: Schema della piazza d’oro nella Villa Adriana a Tivoli, II secolo. | Schema della rotonda di Andrea Palladio in Vicenza. | Schema planimetrico del tempietto di S.Pietro in Montorio del Bramante a Roma
“La maturità espressiva della “Rotonda” ha chiesto secoli di affascinanti tentativi e di affinamenti: questa astrattezza assoluta dell’architettura come bisogno di superamento, non sconoscimento, della utilitas è stata intuita e perseguita principalmente traverso la serie delle piante centrali: dai finissimi adrianei della Piazza d’Oro, dalle formazioni cristalline delle piante leonardesche al purissimo Tempietto di S.Pietro in Montorio, non come realizzato ma come è nel disegno di Serlio. La “Rotonda” palladiana è il punto culminante di un linguaggio, come lo fu il Partenone per quello della splendente serie dei templi greci e da esso se ne distingue per una disumanità che i templi greci non conobbero.”
“L’usura di un linguaggio,è una legge di aspetto biologico, e potrebbe dirsi tutta una col destino non divino dell’uomo. Nel momento stesso in cui un linguaggio raggiunge la sua pienezza espressiva si versa nelle sue opere e in esse vive perenne. Ma di esse svuotato sembra esaurire il suo fine e sotto il procedere implacabile del mondo, più ampio e diverso, anche per le sue stesse opere, inizia a disfarsi”
Img 2: K.Malevich, Sensazione di volo (1915). | Pietro Paolo Rubens, Il ritorno dai campi, Firenze, Galleria Pitti. Particolare
“In questi periodi si manifestano quegli spiriti irrequieti, che di fronte agli innumeri contrastanti parametri alle loro confuse relazioni e alla loro ripetizione inerte, che queste civiltà eclettiche offrono anzi impongono, tentano con lento lavoro di far chiaro, di modulare, di discriminare per individuare, creare, quei nuovi essenziali rapporti che possano far sorgere e cantare il nuovo linguaggio.”
Img 3: dall’alto: Roma, casa del Seicento sullo stradone di S.Giovanni. | Casa albergo a Milano (1950). | Casa Milà di Anton Gaudì a Barcellona (1909)
“E’ questa la lotta ininterrotta, che da decenni, con allucinante monotonia, si svolge da Mallarmè e dai simbolisti a Schomberg e ai dodecafonisti, dal Kandisky e dal primo cubismo alla musica non tonale principalmente ritmica, da Paul Klee e dalla Bauhaus alle esperienze dell’Istituto di disegno di Chiacago, dal Sullivan al Gaudì al Wright.
L’Architettura, dopo la pazzia logica dell’Antonelli, al dono improvviso delle strutture metalliche e del cemento armato, guarda intorno, eccitata, a queste nuove tensioni che essa, unica fra le arti, si ritrova. Ma non sa trarne che limitate conseguenze dispersa nella incertezza, fra il linguaggio dell’economia,quello sociale, quello dell’igiene, gli schemi dell’accademia tecnica del costruire e gli schemi grafici del mondo pittorico e plastico. Solo rari spiriti cercano la riduzione di questi parametri e, in una domenicana fermezza, almeno quella astrattezza che raggiunsero, ad esempio, gli umili costruttori di case romane del Seicento”
“Può essere ancora che una nuova serie di linguaggi unitari universali che dovrebbe soddisfare l’enorme, oggi,numero di uomini sia fuori dalla possibilità della mente umana. In tal caso può forse pensarsi un futuro mondo espressivo come somma di linguaggi particolari, ossia un consapevole insuperabile eclettismo. [..] Ma l’irrequieto spirito europeo, non scisso dalla sua terra, rifiuta questa istanza; nel suo insopprimibile umanesimo ha la necessità della conoscenza e dell’ordinamento di ogni espressione umana. L’Europa, soltanto, crediamo, dovrebbe saper conferire nuova unità ai linguaggi; poichè in essa soltanto sono vive e potenti quelle forze contrastanti che hanno generato la crisi del mondo moderno e che nacquero dalla cruciale storia del suo pensiero, dalle sue varie tradizioni, dalla sua amplissima cultura, dalle condizioni di lotta di fame e di guerre che la perseguitano, dalla ambizione e dagli odi dei suoi uomini, dalla pietà e religione dei suoi antichi, dalla bellezza dei luoghi. Forze ed elementi che se ordinati e risolti potranno costruire quel nuovo linguaggio, anche di una sola arte, che avrebbe portentosi effetti sull’intera struttura del mondo civile.”
Moretti apre sin dall’editoriale del primo numero di “Spazio” una riflessione sulla necessità di un linguaggio unitario, massima espressione di una civiltà, che dovrebbe essere riscoperto e individuato dai moderni – in particolare dagli Europei, in una esplicita polemica contro gli Americani- per superare la fase di crisi delle arti a cui corrisponde un eclettismo formale vuoto e insulso. Particolarmente interessanti sono i confronti tra le immagini che vengono proposti dall’autore: nell’accostamento degli schemi planimetrici della Piazza d’oro di Villa Adriana a Tivoli , del Tempietto di S.Pietro in Montorio e della Rotonda di Palladio Moretti individua un comune percorso del linguaggio architettonico che trova il suo punto culminante, dopo secoli di ricerche, proprio nell’opera palladiana. Nella stessa direzione va anche il confronto tra lo stesso Moretti, Gaudì (che Moretti è tra i primi in Italia ad apprezzare) e i costruttori di architettura minore del Seicento, tutti legati da un comune tentativo di ridurre i parametri della realtà verso una forma di astrazione. E se di astrazione si tratta, Moretti non può tralasciare l’arte contemporanea che, prima ancora dell’architettura, si dimostra attenta alla ricerca di un linguaggio nuovo soprattutto nell’opera dei suoi maggiori esponenti, quali Malevich – qui posto in dialogo atemporale con Pieter Paul Rubens- ma anche Burri, Capogrossi e Fontana, che Moretti riprenderà più volte all’interno dei 7 numeri di “Spazio”.
In generale, obiettivo di Moretti in questo editoriale è dunque indicare una continuità di valori- formali e strutturali- tra architettura antica e contemporanea, ribadendo da un lato l’attualità della prima e dall’altro la necessità, per la seconda, di fondare un nuovo linguaggio a partire dai codici antichi. Non attraverso un banale processo di mimesi, ma mediante la rilettura e comprensione dei principi architettonici alla base delle opere nei “periodi d’oro” del passato, attingendo da questi valori ” spirituali ed eterni” per risolvere la crisi della civiltà contemporanea.
[cfr. C.Rostagni, Luigi Moretti 1907 1973, Electa]