I tre progetti presentati, che affrontano temi assai diversi e nascono da circostanze differenti, come diremo in seguito, si riferiscono però a tematiche simili, sulle quali è fondato il mio lavoro sul progetto.
I modi di intervento, innanzitutto, configurano l’operazione architettonica come dotata di una sua teoria: nel senso che solo una operazione teorica può essere trasmissibile e descrivibile, così come deve esserlo una operazione didattica e come deve esserlo, a nostro avviso, ogni progetto di architettura. Sosteniamo che l’architettura sia una disciplina, con un suo statuto consolidato. Sosteniamo anche con Grassi che il corpus della disciplina architettonica è costituito da tutte le architetture, costruite o progettate. È una posizione che consente di resistere a una deriva dell’architettura contemporanea, quella più “alla moda” che sempre più avvicina l’architettura al puro atto artistico.
La prima tematica è quella dell’ordine.
La nozione di ordine è fondamentale in architettura: senza ordine non esistono forme, solo aggregazioni; ricordiamo che per Kahn (così come per Mies) forma è ordine.
Scrive Kahn, mettendo in relazione ordine e costruzione:
“Progettare è comporre forme in ordine.
La forma emerge da un sistema costruttivo. Crescita è costruzione.
Nell’ordine è la forza creativa.
Da quello che lo spazio vuole essere l’ignoto può essere rivelato all’architetto.
Dall’ordine lui deriverà la forza creativa e il potere di autocritica per dare forma a questo ignoto.
Il Bello evolverà” (1)
Anche per Le Corbusier il tema dell’ordine è basilare: esso si esplicita nella lunga elaborazione del Modulor, negli anni a cavallo della guerra, con la volontà di giungere a un sistema di misura legato all’uomo, ma anche a rapporti armonici come la sezione aurea, presente in natura sotto molteplici aspetti, e la serie di Fibonacci. Dopo il Modulor, la posizione di Le Corbusier è evidenziata dal testo e dalle immagini dello straordinario libro Le poème de l’angle droit, in cui orizzontale e verticale sono connessi alla linea dell’orizzonte e alla posizione eretta dell’uomo: l’angolo retto, la geometria si rapportano a elementi espliciti nella natura.Come scrive Juan Calatrava nella postfazione al Poème de l’angle droit, “…il Modulor presuppone la proporzione sulla base del corpo umano, facendo in modo che l’uomo progetti le sue relazioni con il mondo in base allo stesso ordine”. (2)
Altra tematica fondamentale è per me quella della costruzione, inscindibile dall’architettura, come si vedrà nell’analisi dei progetti. Il tema della costruzione si lega a quello della città, di quella che possiamo chiamare “città di pietra”. Palermo è una città mediterranea, figlia di antiche civiltà, fenicia, greca e romana, “i cui valori estetici sono diventati nel tempo ideali condivisi dalla cultura occidentale” (3). I valori dell’architettura classica hanno appunto il carattere di intellegibilità che li rende universali e permanenti nel tempo. Anche l’architettura moderna ne è stata permeata nell’opera dei maestri, pur proclamando il suo essere strutturalmente legata alla temporaneità. Ritengo per questo che si possa e si debba ancora parlare di regole, perché solo attraverso le regole si può pervenire ad architetture dotate di autenticità e autorità.
Il progetto di architettura si configura in tal modo come risultato scientifico, analizzabile in termini scientifici, dando concreta risposta alla definizione di progetto come strumento di conoscenza, emersa nella feconda fase dell’elaborazione, soprattutto italiana, che ha condotto alla profonda trasformazione della scuola da scuola a carattere professionale a luogo di riflessione culturale sulla disciplina e i suoi fondamenti.
L’elaborazione dei tre progetti qui presentata è recentissima, anche se in un caso è il risultato di una lunga storia; per tutti, e in coerenza con le questioni generali esposte in precedenza, emerge un riferimento chiaro all’architettura del razionalismo italiano, a Terragni in particolare, e a una volontà di recuperare i valori della classicità nel moderno.
Il primo progetto è il Museo del Mare a Palermo, e rappresenta la conclusione di una lunga esperienza didattica su questo tema, documentata da un libro appena pubblicato (4). Il progetto del nuovo Museo del Mare, nell’Arsenale costruito da Mariano Smiriglio, è un tema affascinante, perché si tratta di confrontarsi con un monumento di grande valore, di cui è rimasta, a seguito dei bombardamenti dell’ultima guerra, soltanto la parte antistante, quella “aulica”. Questa parte dell’edificio seicentesco è abbastanza ben conservata, a parte la avvenuta chiusura dei grandi vani da cui uscivano le navi, mentre la parte retrostante, composta di una serie di volte a crociera parallele, in cui si costruivano i vascelli, non esiste più, ed è stata occupata dai Cantieri Navali, che vi hanno sistemato un complesso di binari e di macchinari. Si tratta però di un complesso che non presenta costruzioni architettoniche, per cui è possibile ripristinare il sedime originario dell’edificio. Inoltre, è cambiato radicalmente il rapporto con il mare, che un tempo lambiva il grande manufatto, mentre oggi si è allontanato di molto, e su questo spazio sono sorte nuove costruzioni.
Confrontarsi con un monumento, naturalmente, comporta un’operazione dotata di vincoli, ma, come diceva Kahn, i vincoli in un progetto costituiscono un arricchimento del processo creativo e non un impedimento. Questo vale anche nell’insegnamento dell’architettura: i miei corsi comportano sempre la presenza di vincoli, il rapporto con monumenti o comunque con opere del passato, delle cui regole gli studenti devono tenere conto.
Un sistema di regole può essere letto nell’analisi di un monumento e costituire la base delle scelte progettuali da effettuare sul monumento stesso, come nel caso del progetto di cui ci stiamo occupando. In questo caso le regole sono estremamente evidenti: la simmetria dell’edificio, innanzitutto; e poi un chiaro sistema costruttivo che, anche se in gran parte distrutto, trova riferimento nell’edificio esistente e nel muro rimasto, da cui si derivano le dimensioni della struttura, di circa 13,15×10,45 metri. Il progetto non supera in altezza le dimensioni della parte distrutta, per non interferire con gli elementi architettonici rimasti. Configura uno spazio ordinato, che si collega all’Arsenale su un lato e sugli altri tre si rapporta con gli edifici confinanti con un sistema trilittico: questo determina uno spazio aperto che può costituire una parte significativa del museo, a servizio del bar e della biblioteca soprattutto, ma anche delle esposizioni. La pianta complessiva è un quadrato (non perfetto, dato che si deve tener conto dei vincoli dati dalle preesistenze), e ha al centro uno spazio quadrato a tutta altezza, coperto da un lucernario. Il suo posizionamento ha determinato l’unica parziale eccezione alla maglia di base, con uno slittamento di mezzo modulo che consente il migliore inserimento di questo elemento eccezionale. Anche le due scale, adiacenti a questo spazio, sono illuminate da un lucernario. Il ruolo della luce è fondamentale in questo progetto, come ha notato Franco Purini nella prefazione al libro citato prima parlando dei lavori degli studenti in relazione al mio insegnamento:
“Tutte le proposte si situano infatti nell’ambito di una razionalità vissuta non in modo rigido e convenzionale, ma messa positivamente in tensione con una volontà formale accuratamente controllata. Tuttavia tale volontà è anche lasciata libera di svolgere una sorta di controcanto rispetto alla regola. Ne risulta un comporre strutturato attraverso scelte decise e conseguenti, al contempo attente però ai valori spaziali nelle loro più inaspettate e misteriose risonanze. L’attitudine di Cesare Ajroldi di pensare la dimensione plastica in rapporto alla luce anima tutti i progetti, così come una limpidezza tettonica organizza la costruzione secondo corrette articolazioni logiche” (5).
Il resto dell’edificio è molto chiuso, specie in un piano intermedio destinato alle attività che non hanno bisogno di illuminazione diretta.
Il secondo progetto è un’autostazione nella periferia sud di Palermo e ha una storia molto complessa, che inizia nel 1988 con un progetto elaborato con Mario Vigneri e Giovanni Quartarone. Questa è una variante proposta a titolo personale nel 1915, in relazione alla possibilità di un finanziamento europeo. L’edificio è alto due livelli, è simmetrico rispetto all’asse longitudinale, e misura 30 x 75 metri, con una maglia modulare di 7,50 x 7,50.Esso si presenta all’esterno come un manufatto molto chiuso, rivestito in lastroni di pietra siciliana, molto compatta e di un colore giallo dorato. È composto di due parti, una testata e un corpo porticato sui due lati che al piano terra accoglie i pullman in partenza e in arrivo. La testata è un quadrato completamente chiuso all’esterno, ad eccezione di due elementi vetrati che sporgono a 45° e contengono le scale, e dell’ingresso principale dell’autostazione, posto sull’asse dell’edificio.Il corpo porticato si presenta con la struttura in aggetto rispetto all’edificio, con interasse dimezzato al primo piano (3,75 m.), verniciata di bianco, che evidenzia il sistema trilittico in continuità con lo spazio interno. Questo infatti è costituito da un grande spazio quadrato a doppia altezza posto a 45° all’inizio dell’edificio, che contiene la hall e il bar al piano terra, e da una galleria a doppia altezza, larga 5 metri (questa è l’unica variante al modulo, che in corrispondenza della galleria centrale si articola in tre campate di 5×7,50 metri). Al primo piano sono collocate sale di riunione in testata, uffici e un bar-ristorante nel corpo longitudinale. L’autostazione si conclude con una scala all’interno di un quadrato vetrato posto a 45° sull’asse.
Tutta la parte a doppia altezza ha una copertura trasparente, che ne segue la forma ed è costituita da lucernari, con un cassettonato alla base che ripropone l’ordine dato dalla maglia modulare. Un ordine che informa tutto il progetto e che si articola nelle due giaciture, quella principale e quella a 45° che vi si interseca.
Il terzo progetto è un casa mono o bifamiliare a Partanna, nella parte di periferia nord di Palermo occupata da case isolate, non lontana dallo Zen: è a un piano, con un seminterrato; ha forma quadrata con un patio quadrato al centro, e il sistema trilitico, con una struttura di circa 5×5 metri, è evidenziato sui due fronti principali e all’interno del patio. L’edificio è perfettamente simmetrico, e penso presenti un riferimento a Schinkel e all’architettura neoclassica (che, forse non a caso, ha un ruolo importante nella storia di Palermo).
Cesare Ajroldi
Costruire /ordinare.
Cesare Ajroldi nel rivendicare una nozione di architettura resistente alle derive delle mode ha riportato l’attenzione a questi due fatti che distinguono l’architettura dalle altre arti. Cosicchè lo spazio dato dal mondo non coincide con la nozione intellettuale che lo riduce alla logica intellegibile, ma realtà per l’esistenza umana. Bensì ignoto in sé ma sperimentato come necessario all’esistenza. Donde l’essere. E generico e filosofico o intellegibile. Non coincidenti.
Un saper costruire è bensì presupposto nel costruire ma come facoltà o, come sostiene F. Choay, come “competenza”, non come scienza che necessariamente cade nella ripetizione automatica della regola . Cioè nella tecnologia.
A questa facoltà occorre tornare. Come a ciò che genera scienza. Ed è arte. Non come proiezione di talento immaginativo ma come penetrazione nel reale.
L’esercizio del costruire, porta con sé un “quanto” di saper fare. Il fatto ne è un saggio. Come tale mostra come si fa. Ma non è questo il suo fine. Costruire è, infatti, indurre o istituire nell’ambiente locale determinazioni; bensì intellegibili o logiche, ma preliminarmente comprese nei comportamenti delle persone che non si sottraggono perche il comportamento stesso è comprendere e sapere. Essere attratti o respinti, tenere “giuste distanze” è comprendere attivamente – agendo e reagendo – ciò che è instaurato dalla costruzione (in termini vitruviani l’ordine) nel prendere posizione, tenere una direzione, muoversi attorno, allontanarsi o avvicinarsi, prendere e fare. Tutte parole che traducono atti e fatti in segni intellegibili cioè “prendibili” dalla mente e, a loro modo, “maneggiabili” da essa.
In questo rapporto con la parola i fatti, però, perdono la “maneggiabilità” concreta cioè l’interagibilità del comportamento fisico.
Ajroldi ci avverte che, quando si parla di architettura, occorre sempre tornare a questa interazione, per la quale la costruzione non è solo e tanto una verifica quanto una ulteriorizzazione che si dà all’ esperienza primitiva dello “spazio” qualificato dalla costruzione “per abitare”. E questo, oggi, nei termini dell’ architettura moderna. E per essa cita l’opera che esemplifica il paradigma della sintassi architettonica moderna: Terragni.
Da un lato arte, scienza e tecnica sono solidali ed inscindibili nell’atto di costruire che diviene sapere.
Dall’altro nel contesto locale s’instaura una “logica” di relazioni: attrazioni, repulsioni, “giuste distanze”. Che generano direzioni di movimento : a raggio (attrazione), a circolo intorno repulsione alla giusta distanza.
È in questione, invece, il rapporto con la parola ed il suo “modo” di presentare alla mente i segni del pensiero. Perché, come si è detto, altro è il modo dei manufatti di presentare alla mente il pensato ed i suoi concetti. Giacchè si rivolgono al corpo e ne reclamano una interazione “somatica” cioè un comportamento, prima che un significato verbalmente dicibile. Questa interazione somatica è sapiente anche se priva di parole adeguate. Su questa sapienza preverbale che istruisce le lingue mi preme portare l’attenzione.
Sulla sapienza generata da una competenza “altra” da quella di “parlare”.
Piuttosto che sul costruire, è sulla istituzione di una logica somatica recepita dai corpi che la lingua può esprimere la sua forma di concettualizzazione e stabilire una interazione fertile (non necessariamente) per entrambe; soprattutto se mantenuta nell’alterità irrevocabile con l’altra.
Nel proporre all’attenzione questa facoltà degli uomini mi preme sottolinearne l’esercizio nell’esplorazione dei siti naturali e di quelli urbani.
Mi preme altresì evidenziare, per la rilevanza architettonica cioè per l’esercizio della competenza di edificare, lo specifico chiarimento che l’attenzione alla costruzione porta al sapere della percezione ed in particolare alla sinergia che l’esercizio della percezione comporta tra tattilità visibilità o tra massa e volume “prossimi” e “linee” (e superfici) lontane. Cioè tra “tattilmente” misurabile e “visivamente” incommensurabile.
Per l’apprendimento e l’insegnamento di tale sinergia somatica, oltre che per la estroversione della logica prossemica locale, la costruzione architettonica, e la città, che ne è il prodotto, sono insostituibili. Dunque per capire l’ambiente locale ed agire in esso.
Tale insostituibilità legittima a-priori l’esercizio della costruzione architettonica.
La legittimazione dell’architettura deriva dal sapere di questa interazione che si estroverte nella mappatura manufatta o costruita che “fa” città, cioè abitabilità sociale o interazione somatica manifesta nei comportamenti del senso comune.
I quali non conseguono alle leggi “scritte” ma alla prossemica somatica che deriva dall’atto tetico del “posizionare” e “fondare” una “fabbrica” che genera un’attrazione centripeto/centrifuga ed una repulsione che induce la circolazione ad una giusta distanza. Una prossemica sapiente dell’accordo tra tastare l’intorno immediato e interagire con l’intorno più lontano e inaccessibile. Cioè tra commensurabile ed incommensurabile. Il cui principio discende dallo scambio simbolico tra corpo e cosa (albero o megalite) che conferisce alla cosa la relazione spaziotemporale con gli intorni prossimi e remoti.
Una volta posta questa ovvietà che coincide con la legittimazione originaria si possono affrontare i problemi della delegittimazione.
Ernesto d’Alfonso
NOTE
1.Louis Kahn (a cura di R. Giurgola), Zanichelli, Bologna 1981.
2. Juan Calatrava, Le Corbusier e Le poème de l’angle droit: un poema abitabile, una casa poetica, in Le Corbusier, Le poème de l’angle droit, Electa, Milano 2007.
3.Claudio D’Amato, Città di pietra. Tradizione contro modernità, in Città di pietra, Padova 2006.
4.Cesare Ajroldi, Dario Cottone, Il nuovo Museo del Mare a Palermo. L’ordine dell’architettura, Roma 2015.
5. Franco Purini, Il luogo del nuovo, in C. Ajroldi, D. Cottone, cit.