Si dovrà trattare, forse, del divorzio tra parola ed immagine. Della fine del principio: ut pictura poesis. Questa è forse la principale conseguenza del primato della rete elettrotelematica sulle altre forme di comunicazione.
Si afferma, forse il primato radicale dell’immaginazione creativa sulla memoria.
Vorrei allora fare una dedica scongiuratoria, non perché non apprezzi la immaginazione creativa. Ma perché non la voglio apprezzare contro la memoria. Voglio dedicare questo discorso all’arte della memoria. Quindi all’autrice di un libro famoso che ha segnato i miei studi: Frances Yates che scrisse appunto L’arte della memoria, in cui si scopre il valore delle Imagines Agentes, il parto delle muse, figlie tutte della memoria. La Yates scopre le immagines agentes, mentre rammemora una tecnica del sapere antico ascendente a Simonide di Coo, Aristotele, Cicerone, Dante, Shakespeare. Contribuendo così alla articolazione del sapere, nel più importante laboratorio elaboratore della riflessione moderna sulle immagini nel loro rapporto, appunto, con il sapere, l’immaginazione e la memoria: La fondazione Warburg, nel suo momento inglese, dovuto all’emigrazione dalla Germania per le leggi razziali. Quando e dove si determinò il momento più fertile dell’approfondimento e diffusione nel mondo, e negli Stati uniti in particolare, di quella potente elaborazione del pensiero in cui la filosofia di Cassirer si coniuga con quello di Panofsky, Wittkover e Colin Rowe. I quali ultimi sono quelli che più ci riguardano come architetti, per la tematizzazione delle tecniche base dell’architettura (la musica architettonica e sintassi di Alberti e Palladio) di cui seppero vedere il rapporto con la modernità, andando oltre il Bauhaus, attraverso Le Corbusier. E soprattutto avviare una fertile posterità, attraverso Heduk ed Eisemann.
Non mi dilungo.
Con questa dedica ho voluto solo manifestare il tono dell’approccio al tema: la pubblicistica on-line che sostituisce la pubblicazione cartacea.
Un’ultima premessa, prima di entrare nel tema. Parlerò di tempo. E , da architetto, di spaziotempo.Perciò fin dall’inizio accenno alla differenza di intonazione nel trattare la questione del tempo spazio nella tradizione e nella modernità, dicendo che se il problema classico era la contraddizione tra coesistenza e successione, quello attuale è tra simultaneità e diacronia nel modo peculiare della telematica per cui si è in linea o in comunicazione simultanea con ogni parte vicina o lontana dovunque nel mondo, mentre l’incontro di persona esige la diacronia dei viaggi con veicoli a diversa velocità.
Concludo l’introduzione riassumendo quanto detto in un tema che vorrei soggiacesse a tutti gli argomenti trattati: la percezione della situazione d’esistenza (memoria immediata) per l’immaginazione. Ovviamente al centro dell’attenzione, saranno le conseguenze della situazione d’essere moderna cioè della rivoluzione che comporta nella percezione di sé e del mondo geografico, quindi dei comportamenti quotidiani l’essere on line. E cioè:
1. Nell’ “uso” “spregiudicato” del “self” (il sé interiore) e del corpo.
2. Nella spettacolarizzazione della vita quotidiana.
3. Nella relazione inedita tra gli stili di vita e di conoscenza/comunicazione elaborati dalle diverse etnie.
4. Nel modo inedito di concepire la geografia e di progettarne l’esplorazione.
Di nuovo mi arresto perche appunto al centro dell’attenzione devo porre il fatto d’essere on line .
E comincio a trattare l’argomento a partire dalla parola chiave del titolo.
On-line 1. Il termine inglese significa essere in contatto con/entro la rete Web sempre, ovunque.
Cioè simultaneamente, continuativamente e senza alcuno scarto temporale, con tutti i siti dei continenti in cui vi sia lo schermo di un apparecchio acceso. In altre parole il sito dell’apparecchio acceso davanti al quale siamo seduti è in una prossimità telematica assoluta con tutti i server cui si collegano tutti gli apparecchi distribuiti in tutti i siti di tutti i continenti. A questo azzeramento della distanza temporale nella comunicazione telematica, corrisponde una distanza reale minore o maggiore fino alla contiguità o alla lontananza estrema per cui la misura metrica o spaziale non ha senso. E quindi che si misura, piuttosto, in ore, minuti, secondi, e non in metri e chilometri. Peraltro sono diversi i tipi di trasporto ed il loro standard di velocità cosicchè la distanza temporale dalle mete verifica equivalenze temporali tra luoghi a distanza molto diversa appunto in base al tipo di trasporto (bicicletta, automobile, tram, treno aereo …) . Da cui deriva il concetto di distanza temporalmente equivalente tra diverse distanze che attraverso mezzi di trasposto diversi sono raggiungibili nello stesso tempo.
Ne deriva una esperienza della geografia del tutto diversa da quella tradizionale. L’intera terra è a disposizione di una esplorazione personale programmabile da soli in qualunque momento della vita. Tale esperienza verificabile da chiunque, implica una mutazione radicale con il sé interiore soggiacente all’esperienza vissuta. Esso è fatto oggetto di programmi d’azione organizzati da una mente interiore che ne gestisce il tempo futuro. Il modus operandi di questa mente è marchiare in agenda ore d’appuntamento con mezzi di trasporto o con persone o con luoghi. Alle quali corrisponde una sorta di “caricamento” interiore della volontà che assume l’impegno a portare effetto nel concreto gli appuntamenti marcati, cioè a far ciò che occorre per arrivare in tempo agli appuntamenti.
Il cambiamento della concezione geografica per il sé che la intende come disponibilità della topografia terrestre all’esplorazione programmabile e del sé come oggetto di programmazione di un’esplorazione geografica è una rivoluzione epocale. È ovvio che deve mutare la gestione dell’organizzazione spaziale della città affinchè l’esplorazione prevista abbia la certezza del suo poter avvenire. Si implica allora il rapporto tra agenda impianto e gestione dell’urbanizzazione ed in particolare delle infrastrutture. Così come del rapporto tra diario cronaca sociale e consenso. La città diviene un campo d’azione privilegiato della vita sociale. E la mutazione dell’impianto urbano e del suo funzionamento, l’azione sociale privilegiata dal punto di vista geografico.
Il rapporto sopra delineato si può allora riassumere nella relazione tra biografia umana e biografia urbana.
Didascalia: Il diagramma illustra il rapporto di implicazione reciprocamente causale tra le operazioni sugli impianti (oggetto del progetto) , la biografia urbana, nell’irrevocabile intreccio con il tempo personale del cittadino attore (agenda) attraverso il funzionamento dell’impianto stesso garantito dai governanti. L’implicazione è il fatto politico per antonomasia nel rapporto tra consenso e istituzioni.Si basa perciò sul sè del cittadino attore (psicologia sociologica) di fronte alla agenda nel programmare il suo tempo (le sue condotte temporali quotidiane) scandito da appuntamenti in ore/luoghi precisi per cui marche d’agenda e luoghi della città si corrispondono come mondo e posti della città / luoghi e mondo mentale.Agenda e luoghi perciò si implicano in un rapporto di funzionamento degli impianti urbani che consente di portare ad effetto i programmi il cui decorso dapprima introiettato come timer interno pre_caricato, quando è avvenuto è registrato in un interno diario come vissuti da valutare in base alle attese e da sur_determinare in base al di nuovo progettabile. Si sta trattando del “senso comune” entro la cronaca sociale in cui è presa l’ azione del cittadino attore mentre pratica i campi abitati del public realm come quadri urbani conformi o difformi alle sue necessità ed attese.
Da architetto tale dimensione geografica è il più importante tema della globalizzazione nei confronti del contesto locale che gli compete come “costruttore” di “Campi praticabili da abitare”. E reclama una riflessione sul tema costruire abitare. Oltre le tesi di Heidegger.
On-line/Web 2. Implicazione globale ( dell’intera geografia) nel sito puntuale.
L’immagine di questa fotografia satellitare notturna dell’Europa, illustra questo dato di fatto. Le costellazioni localizzate nelle regioni del continente mostrano il primato delle città e la loro crescita polarizzata in code di cometa ove in ogni punto luce si concentrano migliaia, centinaia di migliaia, milioni di apparecchi in rete. È la realtà telematica della rete web. Cui corrisponde una rete di infrastrutture di trasporto aerea intercontinentale, ed anche quelle dell’ alta velocità ferroviaria e autostradale continentali. E anche delle rotte marittime intercontinentali. E prossimamente delle rotte satellitari. Ogni polo luminoso con la sua scia di comete diverà concretamente praticabile solo come nella famosa immagine della naked city situazionista, per mappe locali disgiunte ed accostate dalle reti di trasporto; perchè i diversi poli (stelle e comete) corrispondono a mappe topografiche in scala al vero cui danno accesso (determinando prossimità temporale equivalente) i sistemi di trasporto più rapidi.
On line /web 2-1. Polarizzazione della totalità geografica globale.
La dimensione geografica “globale” continentale e intercontinentale è attraversata da linee primarie che si sono affermate nella storia. Lo illustra questa linea rossa che congiunge Costantinopoli/Istambul con Ravenna, Milano, Parigi e Londra con un bivio a Milano verso la valle del Reno. Linee di questo genere interferendo o collaborando con le linee sinuose delle acque dei bacini fluviali, strutturano le comunicazioni fisiche entro e tra le regioni definendo gli ambiti locali dei campi abitati entro la strutturazione globale del mondo abitato. Le quali guidano i movimenti delle persone.È chiaro che il contesto locale è quello da curare con più attenzione.
On line /web 2-2. Sopravvivenza concreta dell’ inscrizione storica del lontano nel sito più “interno” delle città.
La “visione globale” continentale si inscrive nel contesto topografico locale come illustra la mappa del centro di Milano entro la costellazione di piazze attorno a piazza del Duomo. Ivi il Duomo espone la “disposizione” delle direzioni a partire dall’incrocio delle navate sotto la “freccia” che porta in alto la Madonnina. Essa così indica la disposizione “cubica” sopra/sotto rispetto a destra/sinistra e davanti/dietro; orientandola nei confronti dei punti cardinali: abside ad oriente, soglia d’ingresso/uscita ad occidente e, di seguito le due mezze navi minori a settentrione e a meridione. Mentre l’intreccio delle strade e delle piazze mostrano il “conflitto” delle giaciture tra vie regionali/continentali (Emilia e Sempione) e vie locali (Vercelli, Magenta). Se le vie locali ammettono una misura tratta dal corpo umano, il metro o il passo e il braccio; e le misure regionali e interregionali, multiple di queste possono essere marchiate da pietre miliari, quelle intercontinentali soprattutto se divise da mari non lo ammettono. E, soprattutto oggi, la loro espressione in Kilometri non ha senso concreto . Valgono meglio le misure temporali. La misura espressa in termini di tempo ha infatti una triplice funzione che mette in relazione fatti diversi: l’intervallo spaziotemporale tra gli estremi, il tempo mondano, del giorno e della notte ed il “caricamento” interiore del tempo interno.
On line /web 3. Simultaneità e prossimità multipla contro coesistenza e diacronia univoca.
Il rapporto tra la misura temporale mondana e la misura temporale interiore umana muta radicalmente. Il rapporto on-line entro la rete Web stabilisce una diversa nozione del “sé” nei confronti della concretezza del mondo. La simultaneità del rapporto online che consente di comunicare immediatamente e contemporaneamente con tutti i luoghi a qualsivoglia distanza (prossimi e remoti) azzerando il tempo della relazione spaziale, implica una disponibilità (benché unilaterale o virtuale) dell’intera topografia del mondo. Questa è forse una ragione per preferire il termine spazio ad altri termini che reclamano un riferimento più concreto con precisi e non generici siti dello spazio.
Solo nei confronti di questa nozione di spazio si può trascurare il fatto che le diverse distanze, soprattutto se continentali implicano che nei luoghi distanti con i quali si è in comunicazione diretta, on line, vigono diverse ore solari. Perciò si sono coniate alcune locuzioni locuzioni temporali, quali “in tempo reale” o “just in time” in cui si contempla la simultaneità (carattere spaziale della temporalità dell’essere). Le quali comportano la radicale mutazione del senso “fatale” del tempo giusto alleggerendo il significato miticosimbolico di “fortunato” (cioè rischioso) per la riuscita dell’impresa, a favore del significato tecnico di calcolabile per la certezza preventiva di essere in tempo coincidente con l’avere successo. Per cui il significato di fortuna nel rischio, che non sparisce, muta di genere.
On Line per la pubblicistica di architettura.
Per la pubblicistica on-line e per il suo potere di comunicazione simultanea con tutti i siti del mondo ovunque distribuiti, si apre una ampiezza illimitata di comunicazione per un costo di edizione e distribuzione molto contenuto. Per di più avendo la possibilità di avere accesso gratuito alla edizione non solo immediatamente, ma anche a tutto ciò che è stato pubblicato fin dall’inizio.
Dal punto di vista delle statistiche vigono nuove misure. Piuttosto di numeri venduti si parla di accessi. Non conta per di più il numero assoluto degli accessi, perché l’accesso può essere accidentale anzi in linea di principio lo è. Quindi la pagina può essere abbandonata immediatamente. Occorre approfondire il dato d’accesso e la rete web lo consente. Registra l’attenzione prestata da chi ha accesso alla pagina guardata. Dunque il dato davvero significativo è questa dato percentuale di coloro che abbandonano immediatamente la pagina. Corredato, per quelli che le “sfogliano” delle pagine voltate e del tempo di permanenza nel leggerle.
Da questo punto di vista le statistiche di arcduecittà, sono incoraggianti. Il numero di chi abbandona la pagina è molto basso. Il che incrociato con il numero medio delle pagine consultate e del tempo di permanenza nel sito (circa tre/quattro pagine e più di un minuto, significa che la pubblicazione è letta. Per di più, da un range di lettori che accede da più di centotrenta paesi del mondo. Sia nella versione italiana sia in quella inglese. Non mi dilungo sulle statistiche. Rimando alle immagini. Vengo invece al tipo della rivista ed ai suoi contenuti.
Il tipo della rivista e i contenuti. ARC e ARCDUECITTA’.
Chi ha frequentato il dottorato in architettura negli anni ’90, sa che si pubblicava a Milano un’altra rivista. Cartacea e non online. Che pubblicava informazioni e saggi sulle ricerche dei dottorandi che frequentavano il terzo livello di tutte le università d’Italia. E si chiamava ARC. Architettura, Ricerca, Composizione.
Quando quattro anni fa si pose la domanda se produrre una rivista per specialisti e “dottori” come la prima o per tutti e per i più giovani, scegliemmo quest’ultima. Propongo qui il confronto dei formati e del “taglio” redazionale.
Per questa nuova edizione, abbiamo privilegiato i temi basici e fondativi volendo confrontarci con essi, nell’affrontare la rivoluzione che ci mostra di giorno in giorno le sue inedite facce. Nel tramandare abbiamo tradito e tradotto per l’oggi. D’altra parte il sapere consolidato è impotente a sostenere le difficoltà che si presentano dietro i nuovi interrogativi ed i problemi che impongono. S’impone infatti l’alleanza delle generazione.
Per orientare a questa alleanza delle generazioni il modo di affrontare problemi inediti, abbiamo cercato di intonare a quattro parole chiave le sezioni della rivista abbinando ciascuna ad uno dei quattro temi architettonici base dell’architettura: ospite/Urban disgn, Habitus /Interior design, landmark (con i complementari groundmark e time mark) /Architectural end engeneering design, set/virtual design. La rivista ha avuto un forum per ospitare le iniziative di A.U.F.O. , cretto da Lorenzo degli Esposti. Ed ha avviato call for paper tematici e paper from school, realizzando così due sezioni d’interlocuzione con il pubblico dei lettori. I dati statistici precedenti dimostrano che questa scelta non è stata rifiutata.
Alla base una ricerca della modernità.
Questa impostazione d’altra parte, anche più della precedente, concorre ad approfondire la ricerca del moderno, che è l’impegno di ciascuno nel valutare lo stato d’oggi nel vissuto come reazione interiore alla esperienza del mondo, che è sempre di adeguamento imperfetto. Dunque il disadattamento genera la ricerca del “com’è” la situazione dell’ora: adattamento della mente nel guardare il mondo che si presenta oggi ed appello all’intuizione per intenderne l’anima e volgerla al futuro.
Perciò, in concreto un’ analisi critica di fatti, costruzioni e pubblicazioni, che scandiscono il passato prossimo facendone la cronaca e discutendone i contributi per il “da farsi” . A tal fine, ricercare i principali riferimenti alle pubblicazioni che hanno fatto storia costituendo l’antefatto dell’oggi e gli studi che meglio indicano una teoria critica della modernità per l’architettura d’oggi. Nello stesso tempo produrre elaborazioni critiche delle opere d’architettura del recente passato per affinare lo sguardo alle manifestazioni del mondo d’oggi.
In proposito segnalo lo sforzo di Arcduecittà nel redigere una bibliografia critica di testi chiave del XX secolo, alcuni, pochi , che riguardano a mio giudizio la disciplina dell’architettura collocandola nel contesto della tradizione del pensiero occidentale mirando la situazione specifica dell’oggi e della sua inedita attualità. Cioè lo strenuo lavoro dell’architetto Lorena Antea Caruana.
E segnalo i due quaderni di arcduecittà pubblicati in forma cartacea e digitale con la casa editrice di Firenze, Altralinea.
Non voglio evitare di segnalare alcuni punti di arrivo che aprono nuove direzioni di ricerca alla cronaca ed alla critica, accennando alla nostra “lettura” dei testi di Moneo ed Eisemann; ed in particolare del testo di Eiseman Ten canonical buildings come indice di una strada del tutto originare di scandire la cronaca per la storia degli ultimi cinquant’anni sulla base di dieci opere d’architettura selezionate perché considerate capaci, più e meglio di altre, di manifestare la “tendenza” (spirito del tempo) della loro decade in base ad una “close reading” (lettura ravvicinata realizzata da disegni dimostratori di procedimenti e correlazioni) che applica la scoperta, attraverso le opere di Terragni, della modus operandi dell’autore progettante in itinere, scoperta in cui l’autore e l’interlocutore, attraverso elaborazioni grafiche che rivelano peculiarità formali del “progetto”, si trovano in una situazione analoga dal punto di vista infraprogettuale; in altre parole assimilati in un frangente di scelta progettuale svelato dall’elaborazione grafica dell’autore della analisi critica, ma indotto dallo stato dell’opera realizzata. Una simile sinergia tra autore e analista (che motiva il termine close reading) rende visibile una sorta di momento infraprogettuale in cui si è determinata una scelta formale originale e paradigmatica così che altri in seguito la possono riconoscere come novità paradigmatica specifica di quel tempo. Forse simili modi di elaborazione sintattica dell’opera apre alla critica un campo significativa per l’evoluzione dell’arte e della scienza architettonica. Ed un contributo alla comprensione degli approfondimenti provenienti dall’uso della elaborazione informatica del progetto.
D’altra parte vedo nello studio di Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale…, un chiarimento del tutto al di fuori dal percorso di Eisemann, ma essenziale per mettere nella giusta prospettiva la mira concreta del lavoro dell’autore americano. Nel progetto dell’opera è messo in esercizio una attitudine teorica che indirizza il processo progettuale verso intinerari inediti rischiando il fallimento. Perciò è un’inquietudine. Non è preaccertata del risultato. Nel corso di tale sperimentazione esplorante inediti procedimenti, una scelta s’impone. Strategica proprio in quanto se ne attende un risultato che è piuttosto incerto salvo che, ad opera terminata non se ne verifichi il successo.
Rispetto a questa tesi sul “come” dell’incertezza sull’esito del processo infraprogettuale, la ricerca di Eisemann fa un passo avanti significativo che non è ovviamente esclusivo.
Va in proposito segnalata la preliminare ed essenziale tesi di Rossi, perché a monte di entrambi formula il principio di desoggettivazione del lavoro di pensiero dell’architetto nel progetto. Il principio è esposto in una tavola intitolata la città analoga. È un tipo di tavola della memoria architettonica. In cui sono raffigurati gli elementi che , introiettati nella memoria, urgono affinchè la mente si metta all’opera per dare origine ad un disegno d’architettura che sarà modello per la costruzione. In quanto introiettati in memoria non sono inventati da chi pure li introietta. Ed in quanto esponibili in una tavola sono di fatto pubblicati affinchè siano recepiti da chiunque come appartenenti al sentire comune. È tale modalità di rivolgersi all’interiorità di chiunque benché elaborata da un soggetto attivo, ciò che emancipa dalla soggettività e anonimizza tale vissuto personale. Ed in quanto si rivolge nel fatto (pittorico e figurativo) all’interiorità che lo recepisce ed elabora appartiene all’aspetto teoretico nel fatto. E si ribalta in inquietudine teorica alla ricerca di una strategia operativa.Non mi dilungo.Il rimando alla sinergia dei tre autori per il sapere oggi dell’architettura mi sembra inevitabile. Volge prepotentemente il cammino della ricerca nella sua direzione.
Non mi resta che da concludere. E lo faccio citando le due occasioni in cui si è discusso della pubblicistica on-line e dell’ open access che consente e che gli istituti di ricerca reclamano come offerta gratuita pubblico globale del portato del lavoro scientifico. Soprattutto perché indica all’architettura il tema da approfondire. Il quale è emerso nel seminario romano: architettura, scrittura, comunicazione, ricerca. E sottolineo la pregnanza del tema, scrittura architettonica nella sua irriducibilità al disegno come a qualunque forma di figurazione visiva o descrizione letteraria. Cioè nella sua determinazione primaria somatica cioè abitativa.
È tale dimensione primaria l’irrevocabile dato di fatto che ci impedisce di accettare senza riserve la tesi di Alberti e che ci obbliga a ridefinire le tesi di Virilio sulla epochizzazione dei cicli paradigmatici del passato prossimo. Alberti, inventando il disegno gli attribuisce in esclusiva la facoltà di esporre il significato privilegiandolo nei confronti della costruzione che non sarebbe altro che la stampa di una copia come da un manoscritto. Non intende più la somaticità dell’abitare che è il vero valore (ivi compreso il significato) dell’architettura.
Tettonica e trasparenza. Derealizzazione dell’immagine, o l’immagine distolta dal corpo/dove.
Virilio mantenendosi in questa accezione puramente visiva dell’architettura esaltata nella sua esclusività visiva e nei suoi significati puramente concettuale. Rimuovendo dalla visività ogni implicazione somatica che la geometria analitica infinitesimale manifesta. E su questo mi trattengo un poco prima di concludere.
Ho parlato di una ricerca in itinere. Che pongo sotto un’insegna il cui motto è: ricerca della modernità. Per marcare il suo punti di partenza, richiamo quella tesi di Paul Virilio[1] che qualifica l’era della virtualità dell’immagine videografica, olografica e infografica di cui siamo noi oggi testimoni come l’era della logica paradossale, in cui la virtualità vince sull’attualità, il tempo vince sullo spazio. In questo ciclo temporale (d’oggi) la qualità dell’immagine non risiede nella profondità spazio/temporale dei suoi contenuti e dei suoi significati condivisi, ma “sta – sempre secondo Virilio – nella velocità con la quale viene prodotta, comunicata e infine consumata la sua essenza immateriale, la sua intensità figurativa, il suo istantaneo messaggio. Condizione questa necessaria per poterla vivere in tempo reale con un livello di accessibilità, da parte di tutti, pressochè infinita. In altre parole per poter vivere l’immagine nella forma della virtualità spettacolare del web.”
Commentando questa tesi Partenope (architetto e professore alla Sapienza), sostiene: Paradossalmente in questa era, alla massima esposizione dell’immagine, all’eccesso di realtà che la caratterizza, corrisponde la massima cancellazione della stessa, essendo questa vissuta nella totale smaterializzazione. Questo processo di derealizzazione ha investito il mondo intero e in maniera molto pesante anche l’architettura.
A mia volta sostengo che immaterialità, l’intensità e istantaneità non sono motivate dall’ istanza a vivere l’immagine nella forma della virtualità spettacolare del web, ma a quella di reagire all’immagine con un sentimento immediato di partecipazione a qualcosa che viene da altrove al quale non partecipiamo nel campo d’esistenza vissuto. Ma cui la comunicazione in tempo reale ci fa partecipare pur accadendo in altri campi. Così l’esperienza vissuta qui ora in tempo reale s’ intensifica per la partecipazione a qualcosa che avviene altrove . Ed a cui partecipiamo perché altri si fanno tramite affinchè noi, in tempo reale, possiamo affettivamente reagire alla notizia dell’evento.
In altre parole, ciò che conta è la partecipazione (benchè solo per reazioni affettive) nel concreto vissuto qui e ora a qualcosa che avviene ora altrove. Di conseguenza ciò che sostiene la intensificazione del momento presente, è la determinazione non immateriale perché nel qui ed ora concreto e localizzato i nostri sensi intelletto e sentimenti sono impegnati nell’attualità di ciò che avviene nel campo somatico d’esistenza quiora e nell’attualità della comunicazione di ciò che avviene ora altrove.
Non può cioè mancare il sostegno somatico che suggella il momento qui/ora della comunicazione pregnante (intensa, istantanea ma non immateriale, bensì somatica, in quanto indirizzata alla percezione intelligente del sensibile orientata intenzionalmente dalla coscienza interiore).
Di fronte a simili dati di fatto, l’attenzione si volge alla derealizzazione o smaterializzazione dell’immagine. E si deve convenire che in quanto tale, l’immagine è smaterilizzante o derealizzante perché nozione puramente visiva delle cose privata della sua dimensione somatica. I due termini, derealizzazione e smaterializzazione cioè, sono parole odierne che corrispondono all’idealizzazione che qualificava l’ immagine antica. Nel riferirsi alla “realtà” ritratta dalla fotografia (fenomeno) l’immagine si carica di una aderenza all’apparenza dei fenomeni reali che l’immagine precedente non aveva. Soprattutto perché non è prodotto di una operazione della mano che opera su istruzione dell’occhio, ma di una macchina priva di “organi”. D’altra parte, prima dell’invenzione della fotografia l’immagine era l’alternativa (o il complemento) al nome nella designazione per la mente della cosa. E non era un ritratto della cosa nei termini odierni. Con l’invenzione della camera oscura e della fotografia, il carattere di derealizzazione e smaterializzazione, che era connesso all’idealizzazione del simbolo, perde questa connessione e non si riconduce più alla cosa come rimando simbolico o icona perché rinvia alla cosa per dati appartenenti alla manifestazione obbiettiva del fenomeno. Fornisce della cosa cioè dati della sua fenomenologia obbiettiva. Tuttavia la fotografia, in quanto fatto puramente visivo, di un fenomeno istantaneo, registrato sulla superficie di un supporto, che può dare in seguito e altrove stampe identiche di “copie”, è estrazione del “fenomeno” nella sua manifestazione puramente visiva dalla concretezza somatica del qui/ora irripetibile della sua manifestazione concreta. È perciò astrazione come modo della registrazione di un momento concreto per la ripresentazione alla riflessione acquista una funzione concettuale, se così si può dire, per il pensiero. Proprio in quanto astratto dalla sua realtà somatica di corpo, in quanto ricondotto ai dati “visivi” delle cose sulla superficie piana della tavola, con lo “scorcio” proiettivo, esatto e calcolabile, effetto del doppio specchio della camera oscura, apre come postulò Alberti, al pensiero una possibilità di misura inedita, cioè la via per scoprire una geometria proiettiva e una geometria analitica che sosterranno le scienze applicate e la rivoluzione industriale. L’immagine, insomma, fin dall’inizio, serviva proprio a questo: astrarre dalla somaticità della situazione concreta ciò che cadendo sotto la vista, lontano da qualunque contatto, poteva essere riguardato come “somatico per la vista” o, come si dice oggi, immateriale, pur non essendo tale. Fatto che ha un riscontro concreto nel guardare da dentro la stanza attraverso la porta ciò che sta sulla strada. Soprattutto se un vetro solidifica con la sua materia trasparente il piano su cui giace la porta. E compare la separazione fisica delle cose che cadono (o possono cadere) sotto le mani dentro la stanza e le cose intangibili che si vedono aldilà.
I multipli rimandi tra corpi e visioni nella concettualizzazione della realtà.
Tornando a Virilio, i suoi cicli temporali, vedi articolo precedente di Partenope, sono tutti relativi alla fenomenologia visiva delle cose, dei luoghi e dello spazio e non contemplano affatto la fenomenologia somatica dell’interazione col mondo.
Per esemplificare e riflettere sulla cosa mostro quest’ultima immagine, che è la proiezione sullo schermo video di una slide del file power point preparato per illustrare l’argomento della conferenza d’oggi. Quindi inserito nel computer collegato al proiettore.
È la fotografia di un momento identico a quello che stiamo “vivendo”.
Esemplifica la molteplicità e la coesistenza di molti modi della percezione, che sono profondamente diversi, ma che coesistono nella esperienza dell’ora e si sostengono a vicenda per potenziarne i significati concreti e astratti nella complementarietà reciproca.
Il primo modo è il soggetto in primo piano del ritratto fotografico: l’aula in cui siamo, la cattedra, i sedili, il conferenziere, le teste dei presenti che sono davanti a chi escluso dal ritratto, testimonia facendo la fotografia. Quindi guardando da dietro l’apparecchio fotografico fa lo scatto. Ogni spettatore è qui rappresentato in presenza. Per “distaccarsi”, deve uscire. Non basta spegnere il proiettore. D’altra parte, per partecipare, è entrato. In anticipo o in ritardo. Il termine tempo reale ha un senso completamene diverso rispetto a quello dell’informatica. È il tempo della presenza somatica a ciò che accade. D’altra parte, soprattutto all’inizio e alla fine, vi è stato il tempo del saluto, delle strette di mano, dell’appello vocale, delle chiacchiere. Insomma è il tempo dell’ineludibile qui ora somatico della situazione concreta, esattamente come questa al trentunesimo piano del grattacielo Pirelli.
Quando mi distraggo dal guardare l’attore, e sposto di lato lo sguardo scorgo la parete di fondo che sta dietro lo schermo e la cattedra che è una parete vetrata, courtainwall trasparente attraveso cui vedo gli edifici che sono dall’altro lato della piazza. Addirittura, poiché siamo al trentesimo piano di un grattacielo, anche una sorta di veduta a volo d’uccello dei tetti sui volumi delle case che perimetrano le strade col traffico. È una veduta mozzafiato. Ne godo solo visivamente e solo da qui. Quando scenderò, non la potrò avere che in ricordo. Questo è il secondo modo, solo visivo, di percepire qui ora ciò che appare della città là fuori. Ma in quanto fotografia riguarda bensì la veduta della città che si presenta attualmente alle spalle dei relatori dietro la parete vetrata, ma, ritrae la stessa veduta in un precedente momento e si può fare un confronto sulla luce, l’ora, la situazione metereologica etc.
Infine tornando a guardare il relatore, lo schermo, ed il rapporto tra le sue parole e l’immagine, si tratta di una immagine infografica, che correda le parole del suo contenuto di significato.La fotografia sta nel seguito delle slides powerpoint, che sostengono del loro contenuto infografico il discorso del relatore.
Le immagini sullo schermo non hanno nessun rifrimento alla situazione attuale se non per il fatto che le parole le chiamano a testimone di un significato nel contesto dello sviluppo del tema di cui si sta parlando. Le immagini sullo schermo, cioè, sono infogrammi sinergici con la voce del relatore secondo il filo del discorso. In questo caso l’immagine evoca la cosa di cui si parla conferendo alle parole qualcosa della concretezza delle cose, quindi alle immagini le parole conferiscono il loro potere concettuale.
Come si vede ho sottolineato nell’esempio, l’esperienza somatica ineludibile che conferisce concretezza a tutto il resto: le parole, le vedute, le fotografie, le immagini infografiche. Essa conferisce alle altre l’esserci e l’esserci state, con tutti i dati di memoria che questo comporta e la possibilità di elaborare quanto, recepito e memorizzato, sarà fatto oggetto di riflessione, ricerca ed elaborazione anche immaginativa.
Simile complessità è il dato della pratica quotidiana d’oggi appartenente alla sua “naturalezza”. Le conseguenze per l’architetto che costruisce e per quello che comunica nelle diverse modalità della progettazione, della costruzione o dell’editoria e della comunicazione orale.
Questo è ciò che mi occupa e preoccupa come architetto e come direttore di arcduecittà. Oggi studio per capire e faccio ricerca teorica per offrire ai miei compagni di strada, allievi o lettori un contributo su questo fatto che mi pare riguardi l’essenza stessa del progetto, architettonico, del fatto edilizio, e della comunicazione verbale e grafica relativa all’architettura. Essendo l’opera d’architettura, in quanto costruzione da abitare, la determinazione concreta della situazione per l’esperienza somatica. E, in quanto tale, volendo usare la metafora della parola “scrittura architettonica”, come “nome” dell’esperienza somatica dell’abitare; e il percepire tattile come riduzione dell’abitare nominato dalla parola “lettura”, la scrittura architettonica è solo la costruzione stessa da abitare. La quale perciò ha un valore sapienziale entro lo stesso atto tecnico costruttivo, che sia artigianale o industriale. E in questo secondo caso prodotto d’ingegneria e d’arte.
Al quale atto tecnico costruttivo si riconduce il progetto, la critica al progetto e qualunque documentazione infografica, videografica ne perfezioni l’intelligenza per la pratica somatica d’abitare in tutte le sue valenze antropologiche e sociologiche. Soprattutto quelle ideali o spirituali.
Qui termino e ringrazio per l’attenzione.
Ernesto d’Alfonso
[1] Paul Virilio, La macchina che vede, Sugarco, Milano 1989.