L’insegnamento della Statica – nelle modalità in cui è offerto all’interno delle Scuole di Architettura – ha sofferto e soffre tuttora della pretesa di un eccesso di formalizzazione delle conoscenze. Il risultato è l’adozione di un pensiero prevalentemente deduttivo, che consenta di esporre i concetti non solo in modo logicamente corretto ma anche formalmente elegante. Questo approccio – partendo erroneamente da premesse puramente teoriche – risulta totalmente privo di riferimenti a casi specifici tratti dalla realtà delle costruzioni.

 Sulla base di questi fatti, considerata la pienezza del rigore logico e la raffinatezza del criterio deduttivo, si trascura completamente il processo induttivo – nonostante la sua rilevanza storica. Quest’ultimo approccio – partendo da prove sperimentali – ha portato, nel tempo e a volte con fatica,  alla formulazione delle teorie che analizzano il comportamento fisico delle costruzioni: nello specifico la risposta strutturale alle sollecitazioni indotte dall’ambiente circostante.

 La comprensione di questi concetti – se presentati secondo un criterio deduttivo – richiede un’attitudine all’astrazione che ben si addice a chi si dedica allo studio della fisica e della matematica, ma che è scarsamente compatibile con l’impostazione mentale dello studente di Architettura. Quest’ultimo è  abituato a ragionare su aspetti concreti di una realtà visibile, direttamente percepibile ai sensi.

 

 Sfortunatamente, questa inefficace impostazione dei metodi d’insegnamento si applica tipicamente a un problema di centrale importanza nella Scienza delle Costruzioni: la verifica alla resistenza. L’inquadramento scientifico di questo fenomeno si basa, infatti, sul concetto di sforzo – inteso come espressione delle sollecitazioni che le diverse particelle del materiale strutturale si scambiano all’interno della materia solida. In riferimento a questo tema è essenziale una discussione teorica, dal momento che il dibattito sulle implicazioni fisiche fa riferimento a fenomeni che – avendo luogo all’interno della materia solida – escludono la possibilità di ogni percezione diretta.

 Lo studio approfondito di questo argomento ha inizio con Galileo, contemporaneamente alla formulazione del metodo scientifico, ed è suggerita dall’analisi di un semplice modello fisico: quello della mensola soggetta ad un carico appeso all’estremo libero. La nota “formula di Galileo” per il calcolo della portata della mensola è parzialmente errata, poiché si basa su un’ipotesi non corretta riguardo la distribuzione dello sforzo. L’evoluzione della riflessione scientifica ha portato – nell’arco di due secoli – alla formulazione corretta del problema ed alla costruzione di una teoria generale sullo stato di sforzo presente all’interno degli elementi strutturali.

 Come già accennato, l’insegnamento di questa disciplina rischia peraltro di fallire se il punto di partenza per la riflessione è posto all’interno del mondo della materia solida a noi inaccessibile e fa riferimento alla formulazione matematica del problema dello sforzo. Una facile intuizione del problema potrebbe invece venire dalla semplice osservazione delle manifestazioni a noi percepibili delle sollecitazioni interne, e cioè della deformazione dei solidi soggetti a sforzo. La deformazione pertanto – attraverso la descrizione dei cambiamenti nella forma e nelle dimensioni – fornisce una prova tangibile degli effetti dello sforzo. Questa potrebbe essere utilizzata come  concetto base per lo sviluppo di una teoria che si occupi dei problemi causati dalla propagazione delle forze all’interno dei materiali.

 

L’intuizione del concetto di sforzo a partire dalla deformazione, basata sulla pura osservazione del dato sperimentale, potrebbe quindi essere la chiave per una più facile comprensione del problema. L’evidenza sperimentale conduce spontaneamente alla formulazione del legame sforzo / deformazione – ad esempio la legge costitutiva del materiale che ne regola il comportamento ai diversi livelli della sollecitazione, fino al collasso. Acquisire il concetto di sforzo, e la possibilità di quantificarlo, significa peraltro avere gli strumenti per approcciarsi al problema della verifica di resistenza. In particolare riguardo alle la valutazione delle capacità estreme del materiale, in termini di deformazione e di trasferimento delle forze.

Di nuovo, le implicazioni operative della questione sono ben delineate da Galileo, quando riconosce che ad una corretta configurazione strutturale devono essere direttamente associate adeguate dimensioni degli elementi strutturali. Un requisito fondamentale è il corretto dimensionamento delle singole componenti imposto dai limiti di resistenza alle sollecitazioni di un materiale. Diviene così evidente la dualità intrinseca nella progettazione: la concezione di uno schema strutturale corretto deve accompagnarsi a una precisa valutazione delle dimensioni della sezione minima dei singoli elementi che lo compongono.

Tornando al problema fondamentale – acquisire coscienza degli stati tensionali che si generano all’interno del materiale e delle condizioni limite che li caratterizzano – è interessante richiamare alla memoria il Principio dei Lavori Virtuali come efficace ed affascinante criterio di comprensione del problema dello sforzo. L’uguaglianza tra le formule per il calcolo del lavoro esterno ed interno, infatti, stabilisce una relazione tra la visione di un fenomeno dall’esterno, direttamente percepibile in termini di forze che producono spostamenti, con il mondo interno alla materia solida. Sotto l’effetto delle forze esterne sono presenti sollecitazioni locali, cui corrispondono deformazioni delle particelle solide e il conseguente sviluppo di lavoro in termini analoghi a quelli del mondo esterno.

Il formalismo matematico del Principio dei Lavori Virtuali è quindi lo specchio della corrispondenza di due visioni parallele dello stesso problema: la prima riguardante la struttura vista dall’esterno,  la seconda che svela le relazioni tra le particelle interne alla materia solida. Le interazioni tra le particelle solide sono definite in termini di sforzi.

 

In conclusione si può quindi affermare che – in riferimento alla Meccanica dei Solidi, un argomento fondamentale sia per l’Ingegneria Civile che per le Scuole di Architettura – ci sono ancora ampie possibilità di sviluppare approcci di insegnamento più efficienti, che si adattino al percorso di studi di entrambe le facoltà.

Questo dovrebbe permettere una comprensione profonda dei fenomeni fisici che caratterizzano il comportamento delle strutture, in modo da porre le basi per un dialogo proficuo fra le competenze architettoniche e ingegneristiche – alla base di ogni processo progettuale.

 

Claudio Chesi


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