Leggere “Operazioni (in arte e in architettura)” con un saggio sulla sprezzatura.
di Lorenzo degli Esposti
Dovrò, qui, dire delle tre letture che ho fatto del libro.
Infatti, esso è, per me:
– un documento della scelta chiave del Dottorato, confrontarsi con gli altri sia a livello nazionale che internazionale.
– una teoria critica sapiente dei procedimenti moderni dell’arte concettuale per l’architettura concettuale nella quale ci si confronta con le teorie di Rossi e Tafuri, Vidler ed Eisenman con il quale contestualmente si sperimentano processi concettuali di progettazione moderna che si concretizzano nella costruzione di Residenze Carlo Erba in Piazza Carlo Erba a Milano). Per andare oltre.
– ed anche – terza lettura – il manifesto di una scelta artistica personale che si esercita, in sede teorica, nell’insegnamento (vedi in particolare Deep Milano), ed in sede pratica, nel proprio studio professionale di via Macchi, che è anche sede di una galleria d’arte, Tulpenmanie.
La sprezzatura.
Come la più importante delle tre letture, il manifesto – il saggio “La sprezzatura” – compare come parte autonoma del libro, a proposito proprio di Deep Milano, il cui titolo precisa la scelta come appartenenza ad una cultura, e come indice di un indirizzo voluto per la propria azione artistica. Potrei dire che si tratta di precisare il contributo ad un’accezione di moderno sviluppata in un luogo particolare, Milano, nel dialogo critico con le teorie sulla modernità degli autori coevi, nel distinguersi ed andare oltre. Perciò, è un corpus di opere di un tempo preciso in una città precisa, quello che Lorenzo indica ai giovani che partecipano al Workshop. Non tanto in una rivendicazione d’identità, quanto nella ricerca della strada per non tradire la teoria critica così sapientemente argomentata. E, tuttavia, andare oltre una certa sterilità della astrazione concettuale, della sua decostruzione e della sua appartenenza ad un mondo alieno. Per inciso, noto che il progetto con Eisenman per Milano inaugura, forse, questa direzione.
Alla fine, se qualcosa di Milano il progetto per Piazza Carlo Erba ri_tiene come operante Anteriority, è proprio la cà Brüta di Muzio, un grande isolato residenziale, come il progetto Residenze Carlo Erba. La grande curva qualifica, infatti, l’intorno urbano, inventandone il futuro contesto, appunto, non ereditato.
La operante Anteriority, sembra essere l’atto necessario di appaesamento di un’opera non solo del proprio tempo, ma che mira a ad un paesaggio ancora inesistente, e perciò del futuro che a priori appartenga a Milano. L’architettura esige dopo la astrazione un atto di concretizzazione.
Non posso dilungarmi. Torno alla sprezzatura. Come manifesto di una direzione di ricerca artistica moderna. per definirne il tono (equilibrio) tra personale e impersonale (collettivo) “evitare un ossequio supino alla concinnitas.
Dice Tafuri: «Sprezzatura (la parola stessa) indica una sottile sovversione, una raffinata violazione delle convenzioni, non ostentata ma perpetrata. È indotta dalle operazioni della composizione che non dalla volontà di sovvertire il linguaggio.»
Il linguaggio è una costante non sovvertibile, salvo perdere il compito esistenziale: comunicare. Del linguaggio si può rivoluzionare il paradigma, ma solo e quando, nel rivelarsi del mondo, si scoprono_inventano tecniche di esporre le scoperte che esigono altre più efficaci costruzioni dei segni.
La teoria delle coupures (discontinuità nelle strutture epistemologiche).
E tali scoperte_invenzioni, produttrici di paradigmi “rivoluzionari” sono tre, le nomino nei termini di Desanti, il filosofo corso citato nel libro come motivazione della direzione imboccata dall’arte moderna [cfr. “Art after philosophy” di J. Kosuth].
La prima, coincide con la costituzione dello spazio delle misure e delle forme.
La seconda, coincide con la seconda rotturaattribuita a Galileo. Essa costituisce una sorta di migrazione dello spazio delle misure che, dal luogo astratto ove si trovava confinato, al più profondo della natura stessa.
Terza tappa, terza rottura: il modello diviene ostacolo. Per chi è entrato nella tessitura intima della materia, lo spazio non è piùdomato. L’ordinamento classico (traiettoria – funzione) è rotto. Per antifrasi, i fisici chiamano «spazio di configurazione» il dominio ideale (e bisogna guardarsi bene dal popolarlo di corpuscoli in movimento) che permette di definire il modo di composizione dei dati osservabili. Lo stato di movimento di un mobile si trova allora delimitato da un sistema di relazioni che ha senso solo in virtù delle «proprietà» dello spazio astratto sul quale queste relazioni sono definite.
Di questa terza tappa – terza rivoluzione epistemologica – sottolineo qui il fatto che il modello diviene ostacolo.Ma lo spazio stesso delle misure e delle forme era divenuto ostacolo alla mano, costretta all’uso della riga e del compasso, ad un campo regolato ove ogni forma assegnabile, (quadrato, sfera o ellisse) diviene la stretta espressione di relazioni metriche esplicite. Queste relazioni funzionano come altrettanti segni la cui connessione regolata è il tessuto della scienza stessa. La mano che traccia le linee diviene allora qualche cosa di inessenziale: obbedisce alla legge delle forme. Ma questo spazio è un dominio separato. Nella sua intima tessitura (con_texture), la natura gli sfugge.
Spazi di scienza della natura contro spazio architettonico e somatico.
Emerge qui il problema in architettura. Per l’architettura il problema esistenziale è lo spazio somatico, che coincide con lo spazio delle misure. Non è questo, infatti uno spazio d’operazioni astratte, che costringono la mano ad un innaturale servitù ma l’insorgenza del numero che congiunto alla misura nomina un principio ontologico dello spazio, quello dell’equilibrio somatico. Che non ha perso di valore. È, infatti l’unico spazio che il corpo – unico bene di cui disponiamo, finché ne disponiamo – può assumere per esistere.
Di nuovo non mi dilungo. La discussione deve procedere dalla domanda: quale com_possibilità ha uno spazio astratto, sprofondato in un’alienità bensì propria a cogliete la tessitura del mondo , ma del tutto estranea alla esistenza dell’uomo che pur la deve comprendere e mentalmente far propria nella semiologia che ne espone appunto la ratio. Che non coincide con la natura, benché ne spieghi la ratio assunta da una tecnica con i relativi strumenti che dirige l’azione umana.
L’intera teoria critica dei procedimenti di progettazione architettonica con le strategie di “straniamento” che de_costruiscono i significati consueti (considerati convenzionali e desueti) è una battaglia per comprendere la com_possibilità dello straniamento dello spazio somatico con i suoi approdi, con lo spazio somatico stesso, quello misurato, costruito in cui i fenomeni rivelati dagli altri modelli spaziali alieni appunto perché penetrano nella tessitura della materia mostrano le loro proprietà ad usi inediti.
Sorge il problema del linguaggio come differenza tra forme simboliche, precisamente: la parola, l’algoritmo, i fatti urbani costruiti.
La sprezzatura coglie il limite della astrazione come strategia di decostruzione. Essa riguarda lo spazio dell’algoritmo geometrico_matematico e le strategie per decostruire i modelli che nella storia dell’evoluzione del sapere, impediscono di sporgersi verso fenomeni ulteriori. Lo spazio alieno. Lo spazio somatico e le leggi che ne governano la verità semantica, su cui basa la costruzione da abitare verso i cittadini abitanti che la devono decifrare in sito e situazione, non è più di tanto “decostruibile”. Lo sprofondamento dello spazio nell’abisso che penetra la la tessitura della materia come ratio, per la mente, dei suoi fenomeni, non ha più che tanto interesse. Che fare dunque di uno spazio astratto, vuole dire qualche cosa d’altro che per la scienza dei fenomeni alieni. La com_possibilità non è quindi l’annullamento di esso; se mai potrà esserci di nuovo unità nella com_possibilità, sarà una comprensione dell’alieno nel somatico. La pratica della concretizzazione come verifica di effetti reciproci tra alieno e somatico richiede forme particolari di decostruzione della concretizzazione, non dell’astrazione. Forse ciò che abbiamo chiamato astrazione ricomprende partiche altrettali di decostruzione della concretizzazione.
Ernesto d’Alfonso