Leonardo

(1° Parte)

2° parte. La scoperta dello spazio astratto: la cellula elementare dello spazio. base dell’integrazione spaziotemporale del saper costruire per abitare e della scienza. L’ intuizione dello zeitgeist nella cellula del presente progettante.

Scoperta e dichiarata la pregnanza del presente vissuto, e della sua intuizione del cosmo come mappa cosmografica costruita dalla mente si va oltre il paradigma greco. E soprattutto oltre il paradigma romano, nella sua versione  cristiana. Oltre la sinergia tra Seneca e Tommaso. Del resto si va oltre il

paradigma classico antico, opportunamente chiamato paradigma della forma e della misura. Osservo, a promemoria che se il paradigma arcaico, aveva guardato alla tettonica della pietra scheggiata e il pardigma greco aveva osservato dalla parte del trasparente la forma della massa. E quello romano/cristiano, guardato dall’interno della mente l’oggetto o la cosa stessa nella sua internità. A fine trecento, si guarda all’interno stesso della trasparenza. Quindi nella mente che pensa pensa i raggi visivi/luminosi, come raggi convergenti/divergenti intellegibili o geometrici.

Si può notare che per far ciò si può cominciare ad osservare le mura in rovina, nelle parti mancanti quando furono integre. Compare allora una occupabilità, prima occupata poi dis_occupata. La quale come occupabilità in potenza ha il potere di essere figurato da linee superfici, punti etc che possono appartenere ai bordi di un modello ligneo. Persino essere pensate nell’astrazione del tracciamento mentale come ricomposizione o re_stauro, a partire dai resti. L’attenzione va quindi a ciò che manca, della forma. Perciò  alla forma virtuale o ideale.  Raffigurata in mente per geometria: linee, angoli al vertice o tra piani etc. Secondo l’Alberti, opera d’ingegno seclusa omni materia.

Rievoco in proposito l’esperimento brunelleschiano. Che corregge l’idea antica, di Platone, che escludeva la forma apparente all’occhio dalla verità della misura. Essa, nell’apparire deformata, ubbidisve ad un’altra legge, proiettiva. Solo apparentemente estranea alla tettonica della misura.  La deformazione è regolare o proporzionale alla distanza in base al punto di proeiezione. E lo dimostrò con l’esperimento prototipo delle tavolette di cui parla Manetti nella biografia dell’architetto fiorentino. Fece dunque due tavolette a specchio con un forellino al centro per guardarle dalla faccia opposta tenendo traloro di fronte le facce a specchio. La luce che veniva dal forellino opposto all’occhio che guardava da dietro formava su di uno specchio  la immagine del batistero nella sua porzione di piazza incorniciato dalla porta, ben più piccola di lui. Che lo specchio antistante, rdrizzava così da apparire davanti al’occhio che lo guardava da dietro il primo specchio “eguale” all’immagine  naturale. Riuscendo poi a tradurre l’immagine sullo specchio in un dipinto. Cosicchè si poteva misurare e comparare le isure piccole con quelle grandi . E verificare che vi era un rapporto proporzionale rigido.

Scoprì, così, che la proporzione era regolata dalla distanza tra gli specchi. Cosa da cui l’ Alberti seppe trarre una geometria proiettiva, la prospettiva . Di cui dette il procedimento del disegno sulla tavola.

Probabilmente vi è stato un lungo tirocinio per apprendere a traguardare le pareti laterali dalla parete opposta attraverso l’intercolonnio separatore delle navi. E si è valutata la invariabilità dello scorcio.  In ogni caso l’esperimento brunelleschiano,  quale è stato descritto dal Manetti,è avvenuto all’interno del Duomo, guardando la piazza intorno al Battistero incorniciatadalla porta. Da questa posizione gli artifici delle tavolette, il forellino retrostante e la parete retrostante a specchio, determinavano l’arresto dell’occhio e della fonte di luce tra gli specchi. Ed il ormarsi, sullo specchio di fronte all’occhio dell’immagine della porta incorniciante la piazza al cui centro stava il Battistero. Quindi, attraverso adeguati artifici, per fermare nel dipinto sullo specchio la figura formatasi di fronte all’occhio, verificare la proporzione esatta tra misure scorciate e misure al vero, in base, come già detto, alla distanza tra le facce a specchio delle tavolette.

Si dimostrava che i raggi luminosi, coincidenti con i raggi visivi che convergevano all’occhio venivano formando un “cono” invertito davanti all’occhio convergendo in un unico punto.

La scoperta che, ciò che è occupabile, è attraversato da un’infinità di linee che come raggi visivo luminosi. I quali possono ‘scolpire’ figure di forme virtuali. Essa, comportò la conseguenza che qualunque superficie materiale potesse essere investita dal concetto dello spazio astratto, attraverso  pochi segni geometrici o numerici. Il riferimento della proiettività  è determinato da due rette parallele orizzontali ed una verticale con i relativi punti d’incrocio e la distanza dell’occhio dal quadro, ribaltata dal centro  sulla linea superiore (d’orizzonte) per la convergenza delle diagonali, proporzione dello scorcio. I riferimenti alla descrittiva o scalatura frontale, è determinato da una frazione che indica il divisore di scala; cioè il moltiplicatore delle misure sul piano del foglio per avere le misure al vero. Lo schema di questo spazio scalare che è nel contempo principio e figura chiave è il quadrato diviso in nove quadrati. sezione o prospetto, in qualunque delle tre dimensioni del cubo di ventisette cubi. Il quale quadrato diviso per nove ha la proprietà di distinguere per posizione, ciascuna da tutte le altre, nove posizioni in base ad una gerarchia centrale.

Nell’inscivere il corpo umano stabilisce il rapporto proporzionale del tutto con le parti. Come appunto nella figura leonardesca.

Tale quadrato costituisce dunque l’ingombro al vero di un corpo qualunque. E per tutti quello dell’uomo.

E, per via della proprozione scritta sulla tavola: la scala, trasforma il quadrato nella misura al vero che inscive il corpo che la occupa. Il quadrato diviso in nove quadrati, pertanto, è simultaeamente cellula dello spazio al vero. E principio di scalatura all’infinitesimo o all’infinito.

Le poche notazioni che ho detto, numeriche per la descrittiva e geometriche per la proiettiva, conferiscono alla superficie del fondo la incrivibilità di figure di forme proiettate o sezionate al vero.

Dunque invece della parola, cui basta un fondo materiale per inscrivere i suoi caratteri, il disegno esige un fondo dalla una doppia “natura” fisica e mentale, affinchè possa esporre la ragione della forma nella trasparenza: l’anullamento della profondità. Corrispondente all’invisibilità della grandezza frammezzo tra occhio e corpo veduto. Esposto dall’ equazione  0=¥.

Concludo considerando lo spazio astratto, quello del foglio: fondo  di sgorbi o abisso popolato da linee punti, angoli di qualunque genere che conferiscono allo sgorbio un senso tridimensionale.

Alla mente è fornito uno strumento potente di prevedere la forma che cui la composizione costruttiva dei materieli fornirà corpo abitato. Dunque la coniugazione delle due cellule di presente: l’interna, apprendimento/ insorgenza di passione d’intraprendere azioni e l’esterna, regola della occupazione dello spazio di cui memorizzare gli accadimenti  man mano accadono, si coniugano senza posa nella mente nel prevedere/giudicare i fatti accaduti. Mentre il presente accade tra i due lasciando in memoria tracce dell’accaduto per giudicarne il valore.

Ho parlato dello tramonto dell’antichità tra ‘300 e ‘500. Nelle scoperte, invenzioni della poesia e dell’arte.

Tra Dante e Leonardo, _ da architetto, avrei dovuto dire tra Dante e Brunelleschi _ ma ho preferito riassumere in Leonardo il movimento che, avviato da Brunelleschi _ atraverso Alberti, Filarete, Bramante _ , va oltre l’architettura e si pone  all’origine della scienza. Inaugurata dall’ artista, che,  dotato di scrittura dello spazio astratto, abbandona la bottega per dedicarsi alo studio. Cioè all’osservazione dell’universo in tutti i suoi fenomeni cui la propria attualità ha accesso. Esposta nei disegni dei codici che illustravano le sue intuizioni, scoperte, invenzioni.

La cellula, poi, dello spazio astratto, tracciata al vero e in mente, come quadrato inscritto nel cerchio, privo di misura ma scomponibile in proporzioni esatte.  Cioè dai loro punti centrali, o originari: l’ombelico (cerchio) e il sesso all’inforcatura delle gambe  (quadrato).  Icona della scienza umana.

Ora posso dire di Palladio. Che scrive il trattato architettonico, col quale insegna architettura nei disegni delle sue opere. Il cui schema strutturale, il trattato è, appunto il quadrato di nove quadrati del quale dimostra la proprietà di integrare le parti tratte dalla scomposizione dei più diversi monumenti dell’antichità.

Questa propietà, ritrovata dallo studio di Wittkower è riproposta come struttura grammaticale dell’architettura come  hanno visto gli allievi più illuminati della sua scuola. Colin Rowe in particolare.  Egli, ne capì la rilevanza come principio metastorico di sintassi architettonica. Dotato del potere di tradurre (nell’accezione di Rogers tra tramandare e tradire) il canone appunto nella forma moderna della sintassi capace di valere oltre la contemporaneità nella diacronia transtemporale che Focilon chiamò presente esteso. Sovrapposto nelle città europee, delle quali definisce le ere della biografia per effetto del metabolismo o ricambio urbano.

Del quale infine i momenti di discontinuità sono quelli essenziali. Del resto, questa è l’intuizione di Rowe. Verificare che lo schema che Wittkover chiamava palladiano valeva, oltre l’evo che aveva segnato per l’evo neoplastico e futurista. Del tutto integrato nel paradigma moderno. Del quale con le parole chiave di Moneo si qualifica lo zeitgeist nella diacronia  inaugurata nel XX secolo. Che intuisce nel progetto l’insorgenza dalla inquietudine teorica che trae da sè la strategia della comunicazione.

D’altra parte, l’autore ispanico, vide in Peter Eiseman, l’autore delle ten houses, colui che mise alla prova la sintassi dell’architettura  moderna. Portandone a compimento la struttura.

Noto, infine che l’autore americano è andato oltre la messa a punto degli anni settanta, procedendo nella investigazione dell’architettura moderna. Del resto ha conteso con l’intelligenza artificiale dei files CAD,  impiegati nel procedimento progettuale del disegno, in funzione ermeneutica. Sfuggendo all’automatismo del loro impiego consueto.

Non mi riferisco solo alla Città della cultura di Galizia. Né al memoriale della shoah, che sono, a diverso titolo, monumenti indimenticabili.

E mi riferisco alla recente opera milanese il cui progetto condiviso con il più giovane architetto milanese Lorenzo degli Esposti, verifica la condizione specifica del disegno d’architettura. La cui elaborazione necessariamente consegnata al disegno, è pensata e ripensata da molti il cui contributo, inteso a sviluppare la strategia di progetto, è fecondo. Verifica la consegna del pensiero al fatto. Che introduce al problema della prossimità tra anonimato e automatismo. Cioè il rischio di una caduta. Che è il problema della  comunicazione nell’arte.

Mi fermo qui.

E rendo omaggio a Desanti, conosciuto attraverso la Choay alla quale ho già reso omaggio. Ma ancor prima a Cassirer che ho preferito, nel diverbio con Heidgger.

Trascurando la tecnologia convalidante Il filosofo “cristiano” lascia nel passato il passato.

Indicando la diversa illuminazione delle diverse forme simboliche dialoganti tra loro, il filosofo “ebreo”, mostra la diacronia che non lascia mai nel passato il passato. Riprendendolo nel presente per renderne fertile l’ora del concepire l’impresa. Che non replica ma rinnova. Scegliendo Cassirer, che fu proposto da Dino Formaggio, cui va la gratitudine dell’allievo, penso di aver scelto la modernità. In realtà, lo sforzo fatto è stato quello d’ imparare da  entrambi.


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