Se la modernità era nata come una filosofia di rinnovamento che intrecciava il suo destino con la parabola delle ideologie, è nel secondo dopoguerra che questa stessa si manifesta come uno strumento pratico sfruttato dai diversi orientamenti politici e adattabile a differenti contesti sociali. Le sue caratteristiche tecnico-scientifiche, che avevano favorito dei pensieri di equità, di ridistribuzione delle ricchezze e di riscatto delle masse popolari, avevano anche determinato quegli strumenti di sfruttamento, prevaricazione e distruzione di massa, che hanno contraddistinto la sciagurata Seconda Guerra Mondiale. Gli esiti di quest’ultima hanno determinato un cambiamento epocale negli equilibri geo-politici, toccando profondamente gli assetti dei territori coloniali che stavano lentamente conquistando la propria autodeterminazione, primo fra tutti l’India attraverso il movimento gandhiano e la pratica della non-violenza. E’ in questi territori pre-moderni, cioè in cui l’ordinamento sociale è ancora largamente intriso di prassi religiose e etniche, che il pensiero progressista moderno può trovare formule di riscatto e mettere a punto dei nuovi protocolli interdisciplinari tra urbanistica architettura e scienze sociali. Il primo luogo dove questi vengono proposti e testati è per l’appunto l’India, vuoi perché è il primo Paese che riscatta la propria indipendenza, vuoi perché è la prima nazione post-coloniale che sceglie la Democrazia come forma di ordinamento politico, vuoi perché è il primo luogo in cui si istituisce lo spazio pubblico come strumento di tolleranza e inclusione e infine vuoi perché è il contesto in cui si trovano formule di adattamento tecnologico ai fabbisogni sociali.
Tutto questo avviene ben lontano dai centri cosmopoliti sviluppati e nonostante le condizioni endemiche di povertà, analfabetizzazione e inconsapevolezza della popolazione. E forse anche per questa ragione si pensò qui che la Città fosse sinonimo di cultura urbana e condizione sine qua non per il raggiungimento delle qualità socio-politiche della Democrazia, ovvero libertà di scelta, libertà di espressione, mobilità sociale, parità giuridica.
Nella diaspora ebraica conseguente alla nascita dell’impero nazista l’architetto e urbanista Otto Koenisberger scelse di naturalizzarsi indiano e di contribuire al progetto di democratizzazione di un Paese in cui le differenze etniche e religiose favorivano fondamentalismi e iniquità inaccettabili.
L’esempio del suo operato nella fondazione di un protocollo per la creazione di cento città moderne e democratiche è stato d’ispirazione per il germogliare di rinnovate ricerche per un’architettura moderna e democratica, ovvero innovativa e giusta.