Mi riavvicinai al Politecnico nel 1978: la cooperativa teatrale aveva in programma la realizzazione di uno spettacolo in collaborazione con il centro studi per il teatro medievale di Viterbo, diretto da Federico Doglio. “De uxore cerdonis” era il testo in latino che fu messo in scena, con la regia di Giandomenico Curi, in una piazzetta del centro storico di Viterbo. Giancarlo Sammartano mi propose di realizzare un film su quell’evento. Io accettai e quello fu un primo passo di riavvicinamento. Poco dopo rientrai in contatto con il gruppo cinema che, insieme al “Filmstudio” e all’“Occhio, l’Orecchio e la Bocca” aveva realizzato, l’anno precedente, la prima edizione del “festival cinematografico” alla basilica di Massenzio che si intitolava “cinema epico”. Bruno Restuccia e Giancarlo Guastini erano diventati stretti collaboratori di Renato Nicolini per l’organizzazione dell’estate romana e quell’anno io contribuii alla progettazione dell’allestimento degli spazi per la seconda edizione di Massenzio che si intitolava “doppio gioco dell’immaginario”.
Realizzando quell’allestimento, in cui avevo utilizzato reperti storici di scenografie conservati a Cinecittà, mi venne l’idea di fare una grande mostra sul cinema italiano e sui mestieri del cinema. Proposi l’idea a Renato Nicolini e al gruppo cinema del Politecnico e il progetto fu messo in cantiere. E questo fu il secondo passo.
Ma il passo decisivo per il mio ritorno al Politecnico fu l’apertura di una nuova piccola sala teatrale, in uno spazio che era stato studio di grafica di Amedeo Gigli e che si era liberato. Il 24 settembre lo inaugurai con una performace intitolata “Auto-Ritratt-Azione”. Sulla parete bianca in fondo allo spazio scenico era proiettata l’immagine di una pergamena, ricordo del giorno in cui fui battezzato. Sul lato sinistro della scena un vecchio mobile da toletta con uno specchio, una bacinella e una sedia davanti. Dall’altro lato io ero seduto su un’altra sedia e tentavo di costruire, per terra davanti a me, fragili castelli con le carte da gioco. La mia voce registrata dava inizio alla performace con la lettura frammentaria delle mie agende dal ‘68 al ‘78, che si alternava a racconti di sogni. Sul fondo della scena l’immagine iniziale sparì e ne apparvero altre a commento di quanto veniva narrato. Alla fine di questo percorso la mia voce venne sostituita dalle note del “requiem” di Mozart. Mi alzai dalla sedia, mi sedetti di fronte allo specchio ed iniziai a tagliarmi la barba, una barba che, proprio nel 1968, mi ero fatta crescere e che per quei 10 anni aveva caratterizzato la mia immagine.