“Scienza, arte e poesia, l’architettura disegna lo spazio del vivere come luogo di trasformazione che ama la persistenza”. (Sarantis Thanopoulos)
Questa nuova edizione dei “pensieri” di Kahn – Louis.I Kahn, Pensieri sull’architettura. Scritti 1931-1974, a cura di Marco Falsetti, Einaudi, Torino, 2023 –, raccoglie scritti, conferenze, dialoghi già editi in italiano – si vedano in particolare la storica raccolta di Christian Norberg-Schulz, Louis I. Kahn idea e immagine, 1980 e il più recente libro di Maria Bonaiti, Architettura è. Louis I. Kahn, gli scritti, 2002 –, accanto a testi, da noi inediti, della sua giovinezza negli anni ’30 o l’importante intervento di chiusura dell’ultimo CIAM di Otterloo nel 1959. Si tratta pertanto di una interessante e completa iniziativa editoriale che offre, in un ordine cronologico, le riflessioni, gli aforismi e i pensieri del maestro di Filadelfia.
Louis Kahn (1901-1974), come noto, è stato uno dei massimi protagonisti dell’architettura del XX secolo; uno degli interpreti più significativi, originali e critici della modernità. Formatosi nel clima e nella scuola Beaux Art negli Stati Uniti, nei quali è sbarcato da migrante proveniente dall’Estonia all’età di 5 anni, ha abbracciato da architetto forme, poetica e programmi del modernismo razionalista. Kahn ha mantenuto però sempre una propria originale concezione dei compiti e degli obiettivi del progetto d’architettura, capace di infondere nella pratica architettonica nuovi significati e una forza espressiva che restituisce, per usare le parole di John Lobell (Between Silence and Light: Spirit in the Archicìtecture of Louis Kahn, 2008), una dimensione “spirituale” all’architettura moderna. Appartiene a questa dimensione “spirituale”, l’insistenza sul significato dell’opera, su ciò che essa è in grado di mostrarci del suo essere spazio di vita, luogo in cui si rendono possibili le “ispirazioni” che fondano le comunità umane e le loro istituzioni:
“In noi
Ispirazione a esprimere
Ispirazione a interrogare
Ispirazione a imparare
Ispirazione a vivere
Queste portano all’uomo le sue istituzioni
L’architetto è il creatore dei loro spazi” (L. Kahn, Riflessioni, 1965)
Nella produzione testuale di Kahn, nella sua frammentarietà, fatta di articoli, conferenze, lezioni trascritte e conversazioni è però rintracciabile una continuità, che si esprime in primis in un consapevole utilizzo di termini e parole, entro una costruzione espositiva che procede talvolta per aforismi, enigmi, sfide sintattiche e che, come scrive Marco Biraghi nell’introduzione al libro, “gli consente di ‘nominare’ ciò che altrimenti rimarrebbe impigliato tra le righe senza interruzione dei discorsi ‘prosaici’. Una riduzione in cui – è davvero il caso di dirlo – ‘less is more’, il meno è il più… in Kahn pensare e fare l’architettura sono tutt’uno. Soltanto chi – come lui – ne abbia affrontato tutte le problematiche… si sia confrontato con la ‘corporeità’ dell’architettura, insomma, può cercare di desumerne i principî valevoli non soltanto per sé ma per l’architettura stessa.”
Si tratta di frammenti che si ricompongono pertanto in un quadro ricco, fatto di pensiero e materiali, parole e pietre, filosofia e spazio dove l’immateriale integra le forme architettoniche, restituendo il percorso mentale, intellettuale, dell’architetto e che vive comunque di una propria autonoma esistenza come corpus di pensiero e teoria sull’architettura.
Pensare l’architettura è per Kahn una sfida intellettuale che apre orizzonti inediti proprio sul piano del “pensiero”, dell’astratto, sino a conquistarsi un posto proprio nel novero delle idee del novecento sulla costituzione dell’umano, dell’esistenza, della vita e delle relazioni dell’uomo col mondo, tratteggiando in sostanza una filosofia, ovvero il “ tentativo di comprendere il mondo, noi stessi e il nostro posto nel mondo attraverso mezzi intellettuali”, per dirla con John Lobell (Louis Kahn. Architecture as philosophy, 2020).
Se si forza la frammentarietà dei testi, la declinazione a volte onirico-poetica, in un lavoro di ricomposizione tematica, ci si trova di fronte a una sorprendente organicità e talvolta una sequenzialità e linearità nello sviluppo del pensiero impressionante, in cui l’universo terminologico è evocativo di un pensiero fondativo, di un’idea di architettura.
In questo percorso kahniano troviamo enunciata un’idea di bellezza a cui si connette l’itinerario creativo dell’arte; troviamo esposto un orizzonte estetico entro cui si va a collocare il fenomeno architettonico, i suoi atti originari i suoi compiti espressivi; rintracciamo un cammino genetico del progetto che comprende e integra dialogicamente tutte le figure dell’atto progettuale; infine possiamo scorgere l’indagine sulle origini dell’insediamento, sulla natura e sul carattere della città.
La costruzione logica dell’esposizione di Kahn, sviluppata per passaggi, transizioni, definizioni consequenziali, da cui affiora lo stesso percorso mentale attraverso cui si è delineato il pensiero, pone in risalto il senso di un costante movimento che dall’immaterialità degli inizi conduce al fenomeno, dai tratti originari porta agli esiti, in cui alla visibile permanenza dell’impronta d’origine, è connessa l’essenza stessa del fatto artistico e architettonico, trasparendo da esso come una nuova aura, senso dei suoi “magici inizi”.
È frequente il ricorso di Kahn a brevi racconti d’origine, tesi a riscoprire i termini fondativi dell’abitare; racconti che non hanno alcun intento di mitizzazione o riproposizione di archetipi, ma si connotano, all’interno dell’indagine kahniana, come moniti, memorie dei “semplici inizi” delle istituzioni umane, in primis la città, luogo del “raduno” delle istituzioni, istituzione essa stessa.
Non si tratta di una dialettica di sequenze causali, bensì di itinerari sempre marcati da momenti trasformativi, discontinuità, soglie e varchi attraverso cui trovano spazio le mutazioni ricondotte ad azioni o spinte soggettive, individuali o sociali – silenzio / ispirazione / luce, forma / ordine / design…. – in cui si rivelano i percorsi verso l’atto creativo, l’affermazione figurale nel progetto, la fondazione del luogo.
Il discorrere teorico di Kahn, seppur in modo non lineare, ci riconduce all’idea di una regola nella costruzione dello spazio abitato: dalla casa, alle istituzioni collettive; dagli spazi di relazione alla città, in cui vive il principio dialogico proprio del trattato di origini albertiane. Centro del pensiero di Kahn è sempre la questione della genesi del progetto, a partire dall’individuazione di una sorta di fenomenologia dell’invenzione artistica e architettonica, che ricolloca il tema dell’espressione rispetto alle negazioni radicali del razionalismo modernista, misurandosi al contempo con le complessità dell’assetto sociale e urbano contemporaneo e con le responsabilità dell’architetto, rifuggendo quelle derive soggettivistiche che saranno proprie di certa architettura post-moderna.
Per poter pensare l’architettura, Kahn compone un proprio vocabolario. Le parole sono i mattoni del pensiero. Se è vero che l’architettura ha propri mezzi espressivi – materiali, spaziali, corporei –, la possibilità stessa di pensare l’architettura e, quindi, di esprimere questo pensiero, ha bisogno di parole, di una terminologia in grado di restituire la complessità di questo pensiero. “Dire” lo spazio dell’architettura è una sfida per il pensiero e ha bisogno di un universo terminologico appropriato. Appropriatezza che si misura sulla capacità di suscitare meditazione ed emozione.
Le parole costruiscono pertanto un orizzonte di significati che rendono possibile il pensiero, la sua condivisione, e le cose architettoniche rappresentano il corpo materiale di un’architettura che, al contrario di quello che accade oggi – con gli architetti “rifornitori”, per dirla con Walter Benjamin (L’autore come produttore,1934), di un sistema produttivo dello spazio attualmente affermato e diffuso – ambisce a concepire luoghi di vita per, come direbbe Kahn, migliorare le condizioni materiali e spirituali dell’umanità.
La lettura dei pensieri di Kahn rappresenta pertanto oggi un’apertura verso un progettare, in cui il pensare e il fare si conducono insieme, che si interroga sulla possibilità di essere – tornare a essere – agente trasformativo intenzionalmente diretto dei luoghi e degli spazi entro cui si svolge la vita dell’uomo e delle comunità.
Recensione di Adriano Parigi