L’architettura è un linguaggio. Comunica il proprio valore attraverso la scelta, da parte dell’architetto, di precise soluzioni progettuali, segni interpretabili dai fruitori. L’unico insieme di
segni stabilmente codificato dalla cultura architettonica occidentale è quello classico, il latino dell’architettura. Tuttavia ogni architetto consapevole progetta il proprio linguaggio, stabilendo una dialettica fra la libertà individuale e la regola generalmente accettata.
La rielaborazione degli ordini architettonici è operata da Michelangelo Buonarroti grazie alla propria sensibilità scultorea, che gli permette di interpretare plasticamente l’architettura. Nella facciata della porta Pia, il suo penultimo progetto architettonico del 1561, trovano posto insieme ad elementi classici, alterati nelle proporzioni e nei rapporti reciproci, parole di nuovo conio, tratte dal linguaggio dell’arredo liturgico e dei paramenti sacri.
La manipolazione degli elementi classici trova un interessante sviluppo nell’Oratorio dei Filippini di Francesco Borromini, in cui il disegno dei vari lemmi si piega alle finalità espressive dell’autore, più che al corretto adempimento delle regole canoniche. Ad arricchire il vocabolario classico di forme nuove sarà Giovanni Battista Piranesi, prima nelle incisioni e poi nel progetto della chiesa di Santa Maria del Priorato sull’Aventino, del 1764. Supportato dalla ricerca archeologica e da una feconda capacità inventiva, l’architetto compie un’operazione al contempo classificatoria e creativa ed è spesso difficile distinguere ciò che è copiato dalla realtà da quanto è tratto dall’immaginazione dell’autore.
Jean Nicholas Luois Durand raccoglie i frantumi del codice classico, dopo la demolizione operata da Piranesi e gli stravolgimenti culturali della Rivoluzione francese, e li dispone in modo nuovo, conferendo loro un senso che gli deriva dalla “utilità”, aprendo così la strada al funzionalismo moderno. A tal fine elabora veri e propri abachi di soluzioni architettoniche, da combinare attraverso la composizione. Il progetto del museo ideale, contenuto nel Precis des leçons d’architecture del 1805 (Jean-Nicolas-Louis Durand, Précis des Leçons d’architecture donne a l’Ecole Royale Polytechnique, ed. italiana CLUP, Milano, 1986) ne è l’esempio più noto e storicamente più influente.
Abachi simili a quelli proposti da Durand nei suoi scritti teorici, verranno elaborati nel corso della storia dell’architettura del Novecento. Dopo la perdita del codice classico e l’abbandono degli ordini architettonici, molti architetti provvedono alla compilazione di tabelle classificatorie, contenenti le cellule elementari del proprio repertorio linguistico. Uno dei primi esempi è costituito da una serie di figure geometriche, primarie ed archetipiche, un abaco di schemi planimetrici, elaborata da Le Corbusier nel 1929, per il progetto del Mundaneum. Simili compilazioni, elaborate indipendentemente dall’occasione progettuale, proliferano a partire dal sesto e settimo decennio del Novecento, ad opera di architetti come Franco Purini, Ugo La Pietra, Alberto Seassaro, Oswald Mathias Ungers, John Hejduk, Superstudio o Studio Labirinto, per citare alcuni degli esempi più interessanti.
In tutte le esperienze considerate, operazioni grafiche al limite fra l’architettura vera e propria e la sua rappresentazione, intesa come disciplina artistica autonoma, il disegno dell’architettura assume un ruolo imprescindibile. Questa condizione ibrida, aperta all’innovazione ed alla contaminazione, è il luogo in cui trova terreno fertile l’architetto che intenda cimentarsi nella progettazione del proprio linguaggio.