Valencia, Spagna. C’era una volta il Cabanyal. E c’è ancora. Poble nou de la mar fino al 1897, anno in cui viene inglobato nel comune di Valencia, il Cabanyal nasce come borgo di pescatori per poi diventare, man mano che Valencia alle sue spalle cresceva e lo raggiungeva, residenza estiva della borghesia valenziana; prime evidenze della vocazione turistica del quartiere, che continuava a mantenere una buona quota di abitanti dediti alla pesca ed alle attività del vicino porto.

Nei primi decenni del XX secolo assume la fisionomia attuale; una griglia allungata lungo la linea di costa, fatta rettifili in direzione nord-sud, paralleli alla linea di costa, con strade secondarie trasversali più strette in direzione est-ovest; conformazione che permette un’ottimale illuminazione e ventilazione delle case unifamiliari a schiera, in stile modernista, con le facciate rivestite e decorate con azulejos. Un modernismo alla catalana, di matrice minore, più povera, che assume però un grande valore proprio nell’insieme urbano.

Queste linee di case affacciate sul mare, seppur raggiunte dalla città in continua espansione non hanno mai perso le loro abitudini legate al mare ed alle sue attività e ritmi; tradizioni diverse da quelle del centro, che erano invece legate alla terra. D’altra parte la città non ha mai digerito pienamente il Cabanyal, considerandolo più un corpo estraneo che si frapponeva tra sé ed il mare piuttosto che l’accesso alla spiaggia vero e proprio. Se prima questa dualità poteva avere un carattere positivo, con il Cabanyal che fungeva da residenza estiva dei cittadini, con l’inglobamento del barrio nella città questo rapporto si viene ovviamente a perdere, rendendo necessaria una nuova caratterizzazione del quartiere.

Difatti, ai primi anni cinquanta risalgono i primi piani urbanistici che cominciano a minacciare e mettere in discussione l’esistenza stessa del Cabanyal. Con l’obiettivo di migliorare le comunicazioni con le altre città della costa, in particolare verso Barcellona, e tra il centro città e le spiagge, vengono proposte un’autostrada costiera, non realizzata, ed il prolungamento del Paseo de Valencia al mar, attuale Avenida Blasco Ibañez, che si interrompeva (e continua ad interrompersi) proprio dove inizia il barrio marinero, fino alla spiaggia.

L’esistenza di questo piano, che per attuare il prolungamento di proponeva di radere al suolo la parte centrale del quartiere, rese nulla la speculazione edilizia in tale area, che resta attualmente, in modo paradossale, quella meglio conservata, rispetto alle fasce laterali, compromesse dalla sostituzione degli edifici originari con palazzine di scarsa qualità architettonica, che però non hanno modificato minimamente la forma urbana.

Nel 1993 il quartiere viene dichiarato Bene di interesse culturale, da proteggere secondo la legge del patrimonio culturale. Ciononostante nel 1998 il comune di Valencia approva ufficialmente un piano di prolungamento dell’Avenida Blasco Ibañez, decretando la fine del Cabanyal, sotto il nome di Piano per la riqualificazione e la protezione.

Inizia dunque una lunga diatriba tra autorità locali (il sindaco di Valencia, determinatissimo all’attuazione del piano, è lo stesso dal 1991 senza soluzione di continuità) e governative, dove decisioni definitive passano di mano in mano rimbalzando tra aule di tribunali di ogni grado, lasciando alla fine la situazione in sospeso.

In questo lungo lasso di tempo, l’amministrazione comunale, impaziente, tramite la società Cabanyal 2010 -in cui ovviamente hanno interessi economici politici ai livelli di governo più vari- compra quante più case possibili, legifera ad hoc per bloccare ogni possibile riqualificazione spontanea del quartiere e rendere la vita impossibile agli abitanti; demolisce parte degli edifici comprati, ne affitta l’altra parte ad indigenti, senza fornire acqua, luce e gas. Il degrado avanza a ritmi molto elevati, l’obiettivo è far disperare gli abitanti rimasti e far accettare il piano di prolungamento e distruzione del loro quartiere; chi ha potuto è già andato via, murando porte e finestre, impossibilitato a vendere se non a prezzi irrisori al comune. Le demolizioni lasciano posto a suoli abbandonati, spesso chiusi da muri, che diventano discariche a cielo aperto. La vita nel quartiere è sempre più simile a quella di una favela, insinuatasi in un corpo dal passato dignitoso chiaramente percepibile, ma gravemente malato.

Questa strenua resistenza di fronte a fenomeni di urban profit che cercano di ottenere i loro scopi mediante meccanismi altrettanto negativi di urban non profit non può essere semplicemente ridotta all’attività di opposizione di gruppi di cittadini affezionati al loro quartiere, costituitisi nella piattaforma Salvem el Cabanyal, capace di creare un vero movimento di opinione ed opposizione. Tali forze sono state e sono infatti capaci di spazzare via qualsiasi cosa si opponga ad i loro interessi, e si è visto infatti che non hanno esitato troppo ad utilizzare mezzi ben poco ortodossi per raggiungere i loro obiettivi. Troppo potenti per essere fermate, almeno in apparenza.

Nonostante tutte le ferite, infatti, il Cabanyal continua a mantenere una sua caratterizzazione tipica, immediatamente individuabile, riesce a costituire qualcosa di diverso dal resto della città, ed un modello potenzialmente funzionale e vivibile. La forma urbis, la sua griglia orientata, risulta, infatti, perfettamente funzionale, rendendo un suo recupero evidentemente più semplice, economicamente sostenibile ed anche più redditizio di una sua distruzione.

Sono proprio queste sua particolarità a determinarne la capacità di resistere. È una città nella città, ben più di un semplice quartiere.

Non si tratta di attaccarsi alla storia con i paraocchi; si tratta di proporre e comprendere le soluzioni migliori in quanto a qualità degli spazi, qualità urbana, qualità della vita. In questo momento, il Cabanyal può diventare un vero laboratorio di sperimentazione del moderno, ci sono innumerevoli spazi vuoti ed abbandonati dove è possibile sperimentare, ed è sicuramente più interessante e stimolante la commistione e la sovrapposizione tra il nuovo e l’antico piuttosto che la tabula rasa.

In questo periodo la crisi è la più grande opportunità che viene data al Cabanyal per vincere la sua battaglia. Non ci sono più soldi per le grandi operazioni immobiliari che hanno caratterizzato la Valencia dei lustri passati ed i movimenti di opposizione stanno acquisendo sempre più voce anche in campo internazionale.

La crisi ed una sempre maggiore coscienza nell’ambito delle tematiche di riduzione del consumo di suolo, rispetto delle identità culturali ed evoluzione delle stesse senza violenti sradicamenti, uniti alla solida base urbana, una forma collaudata e funzionante, quale quella che caratterizza gli spazi del Cabanyal, possono, insomma, opporsi con forza ai movimenti speculativi. È proprio questo il momento più propizio in cui, nell’occidente in crisi, si può cominciare a ripensare le nostre città.