“La partecipazione è questione complessa. Ma io continuo a credere che per
l’architettura sia una delle vie d’uscita.(…) Non sarà facile, perché la società è sempre
più intricata: infinite sono diventate le classi, le categorie, i gruppi sociali. Ma questa
è la bellezza del periodo che stiamo vivendo”
Giancarlo De Carlo.[1]
Partecipazione, Promozione, Informazione, sono termini sempre più ricorrenti nei documenti istituzionali di urbanistica recente. In questi ultimi anni è emerso come non sia possibile pensare lo sviluppo urbano della città contemporanea senza innescare dei processi di responsabilità e partecipazione in ogni cittadino. Nelle esperienze di questi ultimi anni viene “sollecitata” sempre più spesso l’esperienza della partecipazione popolare.
Una prima legge “ambigua” che affronta il tema è la legge 241/1990, la quale all’Art.11 prevede la possibilità da parte della amministrazione di “concludere senza pregiudizio dei diritti di terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo”.
La legge n.662 del 1996 , Art. 2 comma 63 lett.b, invece propone uno strumento a livello locale decisamente più concreto, per accedere a finanziamenti per programmi di riqualificazione urbana in quartieri di particolari condizioni di disagio sociale, bisogna introdurre delle pratiche partecipative nel progetto. Questi progetti di recupero urbano sono chiamati Contratti di Quartiere e sono promossi dal Governo Italiano, per favorire un maggior coinvolgimento popolare alle scelte di programmazione di un territorio. Bisogna sottolineare però, che si tratta sempre di “una scelta obbligata imposta dall’alto” con tutti i limiti che questo comporta; in ogni caso l’esperienza partecipativa nella progettazione è un argomento di grande interesse per la disciplina dell’Urbanistica.
A questo proposito, in numerose città italiane si sono affermate strutture come gli Urban Center, che nella maggior parte dei casi si configurano come “agenti creativi per il rinascimento urbano” nel senso letterale del termine [2].
Queste strutture si caratterizzano per la comune vocazione di “aprire alla partecipazione” non solo ai cittadini, ma anche e soprattutto agli attori locali coinvolti in primis nei processi decisionali relativi alle politiche urbane, con lo scopo di migliorarne l’efficacia e promuovere la formazione di un atteggiamento propositivo.
Gli Urban Center si configurano come istituzioni in grado di costruire un rapporto costantemente dialettico tra le risorse presenti nella città e il rapporto tra queste e il suo territorio circostante (conoscenze, relazioni, capacità di mobilitazione e relazioni con gli stakeholders, territorio fisico etc…), applicando in concreto una buona governance urbana, come accennato precedentemente. Non solo. Gli Urban Center creano uno spazio di confronto e di comunicazione con i cittadini, evitando l’insorgere di conflitti potenziali. Questi nuovi enti, quindi, hanno lo scopo di catalizzare l’attenzione sulle attività dell’amministrazione cittadina, e in particolar modo su quelle attività che prevedono trasformazioni e/o riorganizzazioni urbane, e di semplificarne la comunicazione.
Alcuni autori sostengono che si potrebbe percepire l’Urban Center come semplice “centro di animazione culturale”, o (peggio) centri di vera e propria propaganda, finalizzati alla cattura dei consensi. In malafede infatti, si può pensare che, il coinvolgimento dei cittadini alle politiche urbane venga strumentalizzato per scopi altri. Al contrario uno degli obiettivi fondamentali per un Urban Center deve consistere proprio nell’educare la cittadinanza ai valori civili e alla cultura urbana in modo da creare una consapevolezza diffusa dei propri diritti come civis, memori del pensiero di P. Geddes[3]. L’informazione deve tornare a essere cultura urbana.
Questo è lo scopo fondante proprio dei primi Urban Center americani, come il Pratt Institute di Brooklin, lo SPUR di San Francisco, il MAS di New York. L’Urban Center deve porsi come primo passo verso la concretizzazione di questi obiettivi e il pensiero di B. Monardo lo evidenzia bene:
“ E’ chiara in diversi casi l’aspirazione , spesso ancora insoddisfatta , di accompagnare la trasformazione degli Urban Center da asettici centri di documentazione a
luogo della narrazione sulla città e sui suoi futuri, centri facilitatori del dialogo e fulcri
di costruzione di quadri di riferimento per le politiche urbane.”[4]
Attraverso l’agire di più soggetti (e non più di pochi eletti), l’UrbanCenter rende possibile la partecipazione e la formazione di una pluralità di attori direttamente interessati dai processi decisionali presenti su un territorio, sia attraverso azioni attive (come laboratori, consulenze progettazione partecipata) che passive (mostre, presentazione dei progetti, orgnaizzazione di eventi).
Ecco perchè l’Urban Center non può essere solo un centro documentazione e informazione.
Come ci ricorda B.Monardo ,infatti, condividere semplicemente delle informazioni non significa condividerne il significato, ma queste devono stimolare una cooperazione e un’avvicinamento tra attori attraverso il loro accesso multiplo.
L’Urban Center deve diventare, quindi, luogo per la nascita di attori informati, di ascolto della città, dei suoi bisogni e delle sue trasformazioni, luogo per ricordare il suo passato e programmare il suo futuro. Deve divenire una nuova agorà per la polis del nuovo millennio. Agorà, piazza principale della polis, dove si elaborano idee, si avanzano proposte, si facilita la collaborazione tra soggetti e si propongono progetti pilota in grado di offrire una visione concreta del progetto di trasformazione, sia in Europa che in Italia.
[1] _Bunçuga Franco(a cura di), “Conversazioni con Giancarlo De Carlo. Architettura e libertà”, Elèuthera,Milano, 2000
[2] _Maurizio Carta da Bruno, Monardo,” Urban Center. Una casa di vetro per le politiche urbane”, Officina Edizioni, Roma,
2007
[3] _Geddes Patrick , “Città in evoluzione”, Il Saggiatore, Milano, 1970 (ed. or. “Cities in evolution”, Ernest Benn Limited, 1970
[4] _RIf. dal saggio di Bruno Monardo “Ermeneutica dell’ Urban Center”, op. cit. , p. 25