Bibliografia di Arcduecittà

Education of an architect: a point of view the Cooper Union School of Art and architecture

John Hejduk studia un percorso che rappresenta un vero e proprio strumento pedagogico utilizzato per avvicinare gli studenti all’architettura attraverso il modello bidimesionale, la proiezione assonometrica ed il modello tridimensionale. Le nozioni di Concept e Percept, all’interno della Cooper Union School, risultano ancora il metodo più evidente, l’organizzazione dell’insieme è invece il fine. Il primo procedimento proposto da Hejduk consiste nel disegno a mano, con il fine di sviluppare l’articolazione di un proprio linguaggio attraverso una serie di esercizi bidimensionali sul colore.
Le operazioni sul piano bidimensionale si traducono in esercizio previo per comprendere la struttura compositiva, dapprima di equilibrio semplice poi come risoluzione di tensioni. Alcune energie crescendo nel tempo trasformano lo spazio vero in spazio virtuale. Tali energie sono spesso energie di tensione, compressione date da forme che mostrano la loro funzione all’interno di un lavoro di composizione classica. A questi studi, l’aggiunta di un elemento di collage mostra come le operazioni potenzialmente includibili diventino architettura e pianificazione, esattamente come proposto da Colin Rowe, il cui atteggiamento rimane di completo riconoscimento al background della classicità. Dopo aver affrontato l’aspetto compositivo, all’interno della Cooper Union lo studente affronta una serie di problematiche legate all’oggetto: dal problema costruttivo, che lega l’oggetto alla materia, il problema del programma, che serve a fornire un contesto all’esercizio, arricchendolo con questioni riguardo l’ambiente, l’ecologia, la pianificazione in continuità con la storia.
Un passaggio successivo, che dalle due dimensioni decide poi di esplorare in aggiunta la terza dimensione è chiamato “Cube problem”. Questa problematicità è in un certo modo universale e risulta solo in seguito applicata ad un programma.
Ma la completezza del percorso si raggiunge attraverso il cosiddetto “Juan Gris Problem”. Esso è utile a trovare delle relazioni tra pittori ed architetti, lasciando che la griglia non sia più unico spunto per la riflessione. L’attenzione ai cubisti e alla relazione opera-artista mostra il peso che le questioni formali coprono in merito all’architettura.  Il collage ed il frammento diventano tratti caratteristici per queste architetture e la visione statica tende a scomparire con il fine di coinvolgere elementi eterogenei in una composizione inclusivista. L’oggetto agisce qui come il tutto che rappresenta includendo lo spettatore in quel fenomeno di dentro e fuori caratteristico di quella parte di architettura che si sviluppa negli Stati Uniti dalla seconda metà del XX secolo.

La solitudine degli edifici ed altri scritti

Nel trattare il metodo didattico utilizzato da John Hejduk all’interno della Cooper Union, Rafael Moneo racconta di come lo studente sia dapprima condotto di fronte al “Nine grid square problem.” Questo è inteso come strumento pedagogico in grado di introdurre l’architettura, in primo luogo attraverso l’uso della griglia vista come luogo di compresenza degli elementi architettonici pilastro, trave, tavolato ed in seguito come luogo in cui avvengono i processi ivi inscrivibili come compressione, tensione, traslazione. Lo studente apprende qui ad assimilare i rapporti bidimensionali come le proiezioni assonometriche e soltanto in seguito si dedicherà alla forma tridimensionale. Lavorare con questo reticolo permette di creare una superficie, vista come primo valore di spazio. Il tema parte quindi dalle vecchie teorie pitagoriche dell’uno e del tutto e prima ancora di dedicarsi all’articolazione di qualsiasi volume o spazio.
Avvicinarsi allo spazio vuol dire innanzi tutto comprendere la relazione che intercorre tra numero e forma. Il lavoro sul quadrato offre infatti la possibilità di lavorare sui numeri 1, 3, 4, 9, 16, numeri con valore geometrico. La griglia pone infatti alcuni dei problemi formali tra i più noti in architettura: ottenere una dimestichezza nei confronti dell’articolazione della pianta vista come luogo di relazioni tra centro e periferia e lavorare con gli strumenti che producono l’architettura, innescando poi un processo che porta dall’astratto al concreto. La strategia che si adotta lavorando sui nove quadrati diventa solo in seguito connesso al fare architettura. In seguitoalla pianta si sviluppa poi il problema del cubo, in grado di effettuare il passaggio nella terza dimensione e lo scarto tra aree di tensione bidimensionale e spazi -seppur non si tratti qui ancora di spazi abitabili-. Uno dei problemi sollevati da Hejduk consiste nella rappresentazione dell’oggetto dall’oggetto, non dell’oggetto dall’osservatore come accade tradizionalmente. E’ per questo motivo che i cubisti lottano con il fine di conferire la tridimesionalità loro negata dalla presenza del piano. Analogamente, il disegno non è ciò che lo spettatore vede bensì ciò che l’oggetto già in se è.
Infine, il “Juan Gris Problem”. dove la relazione tra opera ed artista in Juan Gris ed altri cubisti è analizzata e poi utilizzata in una trasposizione architettonica. Collage e frammento diventano tratti caratteristici di questo tipo di architettura, non è scelto un punto di vista da mostrare ma l’architettura finisce con il rappresentare l’oggetto in sé: non la riduzione di un oggetto bensì la riduzione di un fenomeno. In questo modo è concesso esso di godere di una sua indipendenza ed il Juan Gris Problem arriva ad un punto di vista imprescindibile, su cui tutto l’apprendimento dell’architetto si basa.
Anche Peter Eisenman, da suo contemporaneo e collaboratore, esamina l’architettura e le proposte pedagogiche di Hejduk. Distingue quindi all’interno della sua produzione architettonica due fasi: la prima che prevede l’impiego di elementi orizzontali come determinanti (piante, coperture, ecc.), la seconda che introduce l’uso di elementi verticali (maglia di colonne, superfici verticali, ecc.) e soprattutto nella relazione tra stratificazione e due piani. Già nelle prime abitazioni egli affronta il problema del piano come sovrapposizione di piani orizzontali. Ma è nella House X, ultimo delle sue proposte concettuali, si trova una articolazione compositiva più complessa. Le figure diventano di tre quarti anziché metà della lunghezza, e il parametro del movimento diventa strutturante rispetto alla conformazione spaziale. Il progetto è in questo caso controllato visivamente costringendo l’osservatore a punti di vista forzati ai quali l’architetto ha diretto lo svolgimento degli avvenimenti. Il progetto assume quindi un valore di astrazione perchè gli aspetti formali sono gli unici ad avere l’interesse del progettista. Nella Walls House di Hejduk compaiono quindi sia la visione frammentaria che quella totale. La parete diventa l’elemento che suggerisce una visione globale ed al contempo è schermo della visione frammentaria (come espresso da Colin Rowe in Trasparenze). Soltanto nelle sue ultime opere il rapporto con soggetto risulta contemplato, come mostrato dalla presenza di figure all’interno dei suoi plastici.