Teoria, inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei. Rafael Moneo
Vi è una principale differenza tra lo scritto Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei di Rafael Moneo e Ten Canonical Buildings di Peter Eisenman. La differenza principale consiste nei metodi di lettura dagli autori impiegati. Rafael Moneo adotta infatti una visione più aderente al contesto, leggendo l’aspetto culturale più ampio -oltre al percorso personale dallo stesso intrapreso- come determinante per l’artista, come gli scritti di Giulio Carlo Argan propongono. Il caso di Peter Eisenman risulta invece del tutto differente. La sua lettura è più sensibile al testo che al contesto. Ad una cultura internazionale che vede, tra gli altri, negli scritti di Deleuze come Differenza e ripetizione, un approccio post-strutturalista in grado di dissolvere letture canoniche in favore di una visione personale che accosta fatti e concetti in modo del tutto analogico. Per tale motivo, ciò che interessa Rafael Moneo è comprendere presupposti e perplessità che motivano otto progettisti della contemporaneità, nella maniera in cui essi si inseriscono in un ambiente culturale più ampio che li giustifica e li stimola. Il suo punto di vista è volto alla determinazione per caratteristiche peculiari, che spesso porta ad un accostamento dei metodi progettuali utilizzati dai diversi autori al fine di capirne il rapporto analogia-contrasto. In quest’opera si parte quindi dallo studio dell’artista più che delle opere (che sono in realtà esposte in seguito e secondo criterio cronologico), che di volta in volta diventa protagonista dello scritto, nelle sue visioni complessive e con le sue specificità, rendendo gli altri leggero sfondo del soggetto messo a fuoco. Si tratta di un’opera che accetta e promuove il confronto tra i diversi autori, al contrario di Ten Canonical Buildings, che assume invece un atteggiamento critico nei confronti della semantica per la singola opera, perchè essa è prima di tutto testo autonomo. Il riferimento al contesto in cui essa è realizzata o i presupposti di partenza che spingono l’autore sono soltanto in alcuni casi trattati, ciò che conta è la relazione del tutto a-contestuale dell’opera con altri concetti lontani alla stessa. L’analogia che egli utilizza per articolare la lettura chiusa dell’opera lo rende sensibile a campi che tracciano nella mente dell’architetto legami con ambienti filosofici, sociologici, semantici differenti. Nel presentare i contenuti delle due opere mi avvarrò di entrambi i metodi, per rispettarne le letture originarie e per, in un certo senso, metterle in crisi.
James Stirling
Rafael Moneo espone l’opera di James Stirling all’interno della prima lezione alla Harvard University. La motivazione di tale intento è quella di utilizzare la personale vicenda vissuta dal progettista inglese come terreno su cui proporre i contributi dei successivi autori. Ciò che emerge è qui una perdita delle salde convizioni a cui ancorarsi per lo sviluppo di un percorso coerente, il che conduce Stirling ad una aderenza alle differenti proposte vigenti nella seconda metà del novecento. L’opera di Le Corbusier nello specifico e l’approfondimento del modernismo promosso all’interno della scuola di Liverpool, sono i principali elementi che conducono James Stirling alla elaborazione di un suo proprio linguaggio. Ciò che egli intende fare da quel momento è trovare nuove strade per l’architettura moderna, vista come base, presupposto imprescindibile ma eccessivamente rigorista. Già dalle sue prime opere, infatti, appare come modernista l’impiego della sezione per la costruzione dello spazio, in antitesi con l’articolazione della pianta utilizzata spesso in contesti accademici. Stirling utilizza quindi il potenziale della sezione all’interno di quelle che sono le sue opere più note, fino al momento in cui il suo interesse si riduce alla semplice estrusione della stessa. Tale perplessità risulta infatti evidente con l’abbandono del tema da parte dell’autore con il fine di dedicarsi poi a tematiche più legate allo storicismo -evidenti nel periodo in cui Leon Krier lavora nel suo studio- introducendo comunque il tema del collage e del paesaggio. Sarà tuttavia con un ritorno allo sviluppo della pianta che Stirling coglierà i maggiori consensi. La semplificazione di organismi complessi porterà alla risoluzione in un compromesso tra i due strumenti, quindi al compromesso.
Aldo Rossi
Base comune ma differenti ambienti ed esiti caratterizzano il metodo di Stirling e Aldo Rossi. Entrambi partono da una critica al modernismo che si differenzia fortemente anche nei propositi. Progettuale e semantico il primo, teorico ed astrattista il secondo, l’obiettivo che Rossi si prefigge proprio all’inizio di quegli anni sessanta è in un certo modo più ambizioso. Formatosi nell’ambiente di Casabella, egli risente fortemente delle critiche che in quel periodo sono mosse nei confronti del modernismo. La posizione espressa da Rossi è diametralmente opposta a quella proposta da Bruno Zevi, il quale, concentrando l’attenzione sul progressismo sociologico e sulla continuità tra architettura ed altre discipline artistiche, vede l’architettura moderna come unica matrice di vero spazio perchè libera dagli stili. L’approccio dell’architetto milanese è orientato invece alla ricerca di un fondamento specifico e proprio della disciplina. Ha un atteggiamento di fede nei confronti dell’oggettività scientifica, che vorrebbe tradurre attraverso la proposta di architettura come scienza positiva al servizio della società. E’ grazie a ciò che comprende quale sia il campo in cui l’architettura agisce: la città. Definendo i concetti di permanenza e atemporalità l’architettura si separa dal suo aspetto funzionale, attraverso il tipo, che ha relazione con un’immagine profonda. Il tipo racconta dell’oggettività di Aldo Rossi in una visione aderente allo strutturalismo corrente, per lui immagine universale husserliana. Ciò che ottiene non è forse una presunta oggettività quanto più l’apertura per i suoi contemporanei ad un vocabolario che fa riferimento al passato nonchè all’introduzione dell’immaginazione come vero e proprio strumento progettuale soggettivo. Le immagini tanto universali finiscono per legarsi al sentimento. Ciò condurrà Aldo Rossi in una direzione opposta rispetto a quanto inizialmente teorizzato: con il viaggio negli Stati Uniti Rossi abbandona questo scientificismo per dedicarsi al solo lavoro per immagini.
Robert Venturi
Per Scully, Complessità e contraddizione nell’Architettura rappresenta il testo più importante sul modo di fare architettura dopo Vers un architecture di Le Corbusier. La presenza delle proprie opere affiancate agli assiomi dettati infondevano un senso di chiarezza all’intera opera. La critica alla modernità è uno degli elementi basilari per l’architettura americana di quegli anni, ormai il modernismo sembrava essersi tradotto in una serie di principi banalizzati come vocabolario obbligatorio. Nel suo libro, Venturi esprime l’interesse nei confronti dell’ambiguità in architettura, elementi che sono articolati ed equivoci anzichè chiari e diretti. Ma la complessità richiede un atteggiamento di maggiore attenzione nei confronti dell’insieme, gli elementi che convivono hanno comunque una funzione rispetto alla totalità. L’ambiguità per l’architetto, deriva dalla compresenza di elementi contraddittori che tendono a mostrare una diversità ed una inclusività opposte all’esclusività modernista. Le riflessioni di Venturi sono da lui pubblicate in seguito alla realizzazione dei suoi primi lavori e non a caso gli stessi sono illustrazione delle teorie. Il confronto continuo tra il fare architettura ed il proporre riflessioni teoriche è ciò che maggiormente ha convinto i suoi lettori, il suo fare architettura è stato invece ciò che maggiormente ha allontanato i progettisti delle correnti antitetiche il postmodern.
Peter Eisenman
Paradossalmente, Peter Eisenman proclamatore dell’autonomia dell’oggetto architetettonico, ottiene lo stesso interesse sotto il profilo dell’attenzione riscossa dal pubblico che le sue opere. Numerose sono infatti le attività pubbliche per fare in modo che l’architetto potesse godere dei successivi riconoscimenti. La tematica su cui Eisenman si concentra consiste in una ripresa del modernismo per portarlo a compimento attraverso una autonomia della sintassi. Lo studio delle relazioni tra i segni è stimolato dallo studio dell’architettura moderna, vista come punto di partenza incompleto o deviato perchè legato al funzionalismo e spesso al tecnicismo. La sua architettura rientra quindi in una visione formalista-strutturalista che trova nelle teorie di Chomsky suo principale riferimento. Ma a questa lettura mentale potrebbe, secondo Moneo, affiancarsi una lettura purovisibilistica, in modo da gettare un ponte tra l’aspetto superficiale legato alla percezione wollfliniana e quello più profondo, mentale. Gli elementi del reticolo cartesiano -prima- e di una spazialità più libera poi costituiscono i passaggi essenziali per comprendere il percorso sintattico dell’architetto. Conoscere il processo diventa il modo per accedere all’essenza dell’architettura, il momento della biografia del progetto è anche il momento di rilievo, anche rispetto all’opera compiuta. Un’opera di architettura deve mantenere vive le tappe intermedie assunte dall’oggetto, che sono al suo interno latenti, tralasciando il fatto che le stesse narrino in realtà di una gestazione soggettiva, dall’oggetto semplicemente registrata.Impossibile non notare con quanta attenzione logica siano proposte le idee di un architetto che in La fine del classico studia i processi “mancati” nelle opere di Terragni.
Frank O. Ghery
La cultura architettonica degli anni settanta è stata fortemente rivoluzionata dalle proposte di Frank O. Ghery. Per leggere le opere di Gehry è, secondo Moneo, indispensabile legare l’architetto alla città in cui vive, Los Angeles, città di mobilità ed individualtà. In quest’ottica, l’automobile diventa lo strumento intimo che permette di proteggerci dalla velocità e dagli altri individui, come risultato le automobili dominano la topografia del movimento. Mentre si parla di pluralismo va sottolineata l’importanza dell’effimero in questa città, come la coscienza della transitorietà e della volatilità di tutto ciò che ci circonda, che orienta al consumo più che ad una visione teleologica e finalista. A Los Angeles infatti tutto è in continuo movimento e agente in una mancanza di norme. Conoscere la città e le sue regole, per Ghery, non si traduce nella elaborazione di un atteggiamento contestualista. Le circostanze non intimidiscono l’architettura di Ghery. Gli architetti che si discostano dall’ideale platonico più dell’architetto americano sono pochi. I caratteri di pragmatismo ed immediatezza sono infatti quelli che rendono Ghery uno degli architetti più apprezzati nel contesto americano. In un certo senso la sua posizione è opposta a quella di Aldo Rossi. Mentre, al contrario di quanto avviene in Siza, egli non trova nel luogo alcun elemento che giustifichi il suo presupposto verso il fare. Mentre per Siza infatti l’elemento di maggiore interesse è il luogo, per Ghery è il programma e la radice della costruzione stessa è lo smenbramento del programma. Il lavoro di Ghery è quidi più simile a quello di uno scultore . Egli ignora la rappresentazione tradizionale e vi sono momenti in cui rappresentazione e architettura prescindono da ogni relazione. Fare architettura è per lui poter fare e costruire il modello. Le tecniche di realizzazione apprese precedentemente la sua scoperta sono poi utilizzate ampiamente negli anni successivi ma un interessante aspetto è il legame di Ghery con l’architettura reale, slegata dalla fiction a cui sono interessati altri architetti come Eisenman, che si avvicina fortemente alla simulazione vista come elemento astratto. In tale fisicità i materiali hanno una valenza di maggiore interesse. Per Ghery il processo non è importante, in antitesi con quanto avviene in Eisenman, ciò che conta è la relazione tra opera e progettista, senza distanza, al contrario di quanto avviene in Siza. La presenza dell’arbitrario sarà poi uno degli elementi per lui fondamentali. Ma c’è un risvolto della medaglia in ciò: la pragmaticità con cui compone le forme è poi in realtà slegata dall’uso reale che quasi trascende la forma stessa. Ciò è vissuto con una certa inquietudine da Ghery. Ciò tuttavia appare spazzato via dal concetto di movimento che è inteso come alternativa all’ornamento.
Alvaro Siza
Se da un lato Alvaro Siza rappresenta il portavoce di una architettura moderna, dall’altro egli è un autore in grado di mettere insieme il popolare -inteso come costruzione tradizionale- ad una cultura più ricercata. Un elemento di fondamentale importanza per l’architettura di Siza consiste nella conoscenza del luogo come origine, avvicinandosi alla poesia come realtà trascendente. Moneo scrive di come l’opera di Siza abbia una analogia con quella di Pessoa, in quanto non agente bensì rivelatrice di qualcosa che esiste. Egli lavora con dei vocaboli autonomi e si occupa di tessere in una trama -l’architetto ha qui peso nella composizione dell’opera, ma non prepotenza.- Molteplici sono quindi gli aspetti che lo interessano: il paesaggio, i materiali, i sistemi di costruzione, gli usi, le persone che occupano l’opera. Sotto questo profilo egli dirà infatti che “cominciare un disegno con l’ossessione della originalità corrisponde ad un atteggiamento incolto e superficiale”. Ciò che qui conta non è quindi l’originalità ma l’appropriarsi del luogo facendolo diventare piacevole a chi lo vive ed al contempo imprimendo un’immagine fugace, un’opera in cui l’immaginazione è spinta dalle forme reali. Altro aspetto di forte interesse per il progettista è l’importanza che riveste l’istante e lo stato di cose che avrebbero potuto essere e non sono, una sorta di possibilismo dichiarato.
Rem Koolhaas
Come già espresso in prefazione, per comprendere l’opera di Rem Koolhaas Rafael Moneo racconta la sua biografia. Nato in Asia, dove trascorre i primi dieci anni della sua vita, si trasferisce successivamente in Olanda con il fine di approfondire studi giornalistici e legati al cinema. La descrizione dell’universo tuttavia, secondo lui, avrebbe da quel momento richiesto nuove tecniche di espressione e rappresentazione, il cinema rappresentava quindi il mezzo più idoneo per realizzarlo. I suoi studi presso l’AA di Londra lo portano a scoprire l’influsso degli Archigram, il cui lavoro è caratterizzato da una visione in cui concorrono azione e tecnologia. Nel contesto della Cornell University invece, Koolhaas si appassiona agli insegnamenti di Ungers, il quale fa emergere nel giovane architetto una consapevolezza circa il contributo delle avanguardie nella recente architettura. L’Institute for Architectural and Urban Studies è poi la base a cui Koolhaas si appoggia per la stesura del suo libro Delirious New York. L’anti-intellettualismo è per Koolhaas la condizione di lettura della strategia urbana per la pianificazione di New York e ciò è evidente in ogni scelta dell’architetto, schieratosi quindi con una cultura di massa: più flessibile ai cambiamenti e alle condizioni storiche. Il suo populismo è ben diverso da quello di Venturi, più iconoclasta ed intellettuale ed implica condiscendenza. Il grattacielo è allora strumento di liberazione della dialettica forma-funzione, gli edifici sono ora indeterminati e aperti, il tema della scala è esplorato per dare vita alla relazione individuo-massa, evidenti nello studio della sezione. Opposta all’opera di Siza la sua architettura è globale, universale, non legata a condizioni di fattispecie di nessun genere.
Herzog & De Meuron
L’architettura svizzera a cui Herzog e De Meuron fanno riferimento sembra ignorare le discussioni teoriche della contemporaneità con il fine di proporre nuove mete, che si esplicano nella promozione di un ritorno all’origine. Guardando le loro prime opere si pensa a Semper e al modo in cui gli architetti hanno promosso il momento iniziale della costruzione. Essi esplorano quindi il potenziale formale dei materiali senza però dare un eccessivo peso alla presenza della struttura. In qualche modo la forma si attiene a dei contenuti materici che vogliono essere espressi e a tal scopo il riferimento iconografico viene abbandonato. Si è di fronte ad una opposizione alla velleità dello stile che aveva dominato negli anni Ottanta. Appare evidente una rinuncia a mostrarsi dell’individuo nelle proprie opere. Lo spazio è qui come diretta conseguenza della sua costruzione, che mostra in particolare un carattere di permanenza simile ad una architettura primitiva. Si mantiene quindi volutamente ad uno stato di architettura elementare e primaria. Si può in questo caso fare un parallelo tra Mies ed Herzog e De Meuron: mentre il primo è attratto dalla definizione dell’universale in architettura, gli altri sono invece maggiormente attenti ad una specificità e a caratteri locali. Di volta in volta ad ogni circostanza si affida un materiale concreto, che emerge da un ipotetico uso esclusivo attraverso la possibilità di linguaggio in grado di spaziare.