venerdi 5 dicembre 2014

ore 10.00

Spazio Aperto edificio Nave

Giovanni Denti un ricordo

Un incontro per ricordare Giovanni Denti e la sua attività di docenza presso il Politecnico di Milano.

La progettazione tipologica oggi. Il coraggio di perseverare. Ernesto d’Alfonso

Ho in mente due titoli, per due figure di Giovanni che porto in mente.

Una della persona come un ritratto, diritto nell’attesa di un braccio amico. Sereno.

L’altra del professor Denti, che insegnava Tipologia architettonica nel secondo anno del dottorato in progettazione architettonica e urbana.

Ed al termine del ciclo didattico, faceva un libro con i suoi studenti, come se non si fosse trattato che di una ricerca comune, tematica, seminariale.

Ed è a questo secondo con cui voglio oggi confrontarmi, col professore. Pensando questo contributo come ad un saggio di “studi in onore di…” come nelle comunità scientifiche universitarie si suole rendere onore a chi negli anni è divenuto maestro.

Del resto così ne parlano i suoi giovani allievi.

E lo dimostrano i più vecchi. Con il comportamento.

Le due figure infatti s’intrecciano in un blocco nel quale i due momenti dell’insegnante e dell’uomo diritto sono uniti per via di coloro che intorno accompagnano sostenendo.

Vi è una squadra che fa blocco: Che tutti conosciamo e che da all’uomo retto la serenità e la certezza. Il coraggio: Leonina e gli amici. Che si muovono al’unisono, come una squadra. D’altra parte tutti nel solco di un più antico maestro: Gentili Tedeschi

È stato un insegnamento.

È un monito: avanti nel cammino.

Quando sono andato a trovarlo per orientare il mio contributo, nella prospettiva di tutt’altra occasione , ma che per me, qui, oggi è ancora quella, Giovanni mi dette un libro. L’ultimo che aveva scritto: Forme nello spazio, a cura di Vittoria Zaffaroni.

L’ho letto, come istruttoria del suo corso. E, come allievo per un compito ho cercato un passo che mi aiutasse ad entrare nel suo argomento insieme. Questo era il compito per me: entrare nel verso giusto in argomento di comune interesse come nell’interfaccia di un seminario.

È un passo del capitolo 13. La struttura quadrimensionale dello spazio. E riguarda lo studio ed il confronto tra due artisti del periodo cubista: Picasso e Braque o meglio alle due opere: natura morta spagnola ( Picasso) e natura morta con l’asso di fiori (Braque).

Due diversi approcci allo stesso tema, l’uno “volumetrico” l’altro coloristico.

Ma per entrambi il tema era quello di andare oltre la tela ed il suo dato di superficie

Surreale, come insegnava Dino Formaggio non solo come parola insegna e manifesto di una corrente artistica, ma come direzione di una ricerca. Oltre la realtà. In questo casa oltre la tela. Ma attraverso la tela.

A me parve un monito a guardare di nuovo e diversamente il foglio bianco su cui si disegna il progetto. In un momento dell’istruzione dell’architetto occorre ripensare alle ricerche cubiste per pensare ai nostri principali strumenti di lavoro: il foglio bianco. È uno stupido oggetto o è uno strumento che costringe a guardare nel suo verso ai segni che vi si imprimono? È carta da lettera per una narrazione letteraria o altro?

Così ho pensato ad un analogo studio che nel solco degli anni ’50 e, per i milanesi, della nota Triennale del ’51, riportava all’attenzione proprio l’armonia pitagorica che istruisce di geometrici numeri il foglio bianco per il progetto d’architettura : parlo dell’incontro/confronto tra Wittkower e Le corbusier, del cubo di Palladio e del prisma di Garches: cioè della trasparenza come la chiamò Colin Rowe, l’allievo di Witkower e l’autore della matematica della villa ideale. Nella sua ricerca Colin Rowe portava l’attenzione appunto sull’arte cubista nel suo rapporto con il progetto lecorbusieriano. Nell’occasione della Triennale era piuttosto all’attenzione il modulor e la divina proporzione. In ogni caso emergevano alcuni aspetti che occorre qui segnalare: l’esigenza di confrontarsi con la storia nel momento di fare critica, l’impossibilità di valorizzare la modernità senza confronto con la storia, l’esigenza di “scientificità” nell’esaminare le opere d’arte. E per la scuola l’apprendimento di una disciplina nell’esercizio del pensiero, anche nell’urgenza delle passioni e nell’espressione dei talenti. L’apprendimento si fa in laboratorio. Ma il laboratorio è istruito. Non basta l’atelier. Neppure quello di un autore riconosciuto.

Temo di essere troppo lungo. Anche per Leonina che mi legge.

Fin da quando si scelse la data, oggi, non potevo esserci.

Allora rimando ad una ricerca in itinere per la quale ho preparato su Arcduecittà una bibliografia. Faccio un breve cenno al possibile seguito

Al confronto tra Picasso e Braque, farei seguire una discussione tra cubismo e futurismo per introdurre in contradditorio Banham. Ed uno studio comparativo tra Ghery ed Eisemann per introdurre alla progettazione assistita dall’informatica e all’uso dei modelli di progettazione parametrica.

Credo di non tradire il compito che mi ero dato leggendo il capitolo tredicesimo di Forme dello spazio e così dedico la ricerca al professor Denti.

 

      


Save pagePDF pageEmail pagePrint page
SE HAI APPREZZATO QUESTO ARTICOLO CONDIVIDILO CON LA TUA RETE DI CONTATTI