Questo studio procede nel solco della ricerca sulla tettonica dell’architettura, quindi sulla dimensione tattile della percezione.
D’altra parte, proprio perciò procede nell’interrogazione che soggiaceva allo studio di Moretti. Ci si domandava come la ricerca di Spazio aprisse una prospettiva nuova allo studio dell’esperienza artistica scultorea e plastica innanzitutto del futurismo, ma, per analogia d’orientamento della ricerca, sulla ricerca barocca anche nella sua penetrante analisi dell’architettura antica e tardoantica in particolare.
Insomma procede nella indagine sulla architettura nella sua determinazione ineliminabile di “fabbrica” che esige dalla visione vincoli imprescindibili che solo la matematica o meglio la geometria analitica può supplire. D’altra parte si avvia qui l’analisi dell’opera di Gehry, che non a caso procede per modelli virtuali. Solo questi infatti consentono agli esecutori di realizzare l’opera. Gehry, insomma, deve privilegiare l’intera gamma dei problemi costruttivi proprio mentre cerca di ottenere un effetto plastico il più vicino possibile a quello della scultura che si è misurata sulle figure dei corpi animali e umani.
Ernesto D’Alfonso
Studio di Casa Lewis
Frank O. Ghery è l’architetto che ha stupito il mondo con la sua architettura anticonformista basata sui modelli virtuali.
Per capire in cosa consiste questo metodo di lavoro, abbiamo cercato di cogliere la relazione tra modello e forma alla base del processo di sviluppo delle sue opere.
Dopo una prima fase di studio e selezione, abbiamo scelto Casa Lewis (1985-1995) per esplicitare quelle che sono le nostre considerazioni a proposito del metodo inventato da Gehry.
Nonostante questo progetto non sia mai stato realizzato, crediamo sia importante poiché è tra i primi e più significativi edifici nel quale l’architetto sperimenta nuove possibilità e sviluppa –attraverso elementi aggiunti, rimossi o modificati- unità distinte non solo per la funzione per le quali sono pensate, bensì per la forma complessiva, ma anche individuale di ogni parte di cui l’edificio è composto. Va detto inoltre che queste unità, che definiamo elementi, subiscono continui sviluppi nelle diverse fasi di lavoro, permettendo all’architetto non solo di sperimentare nuove forme ma di arrivare, in ogni fase, ad avere un progetto completo, di cui noi alleghiamo le immagini per ogni fase (1993,1994,1995), ma analizzeremo nel dettaglio solo l’ultima di esse.
Il modello e i modelli
Dimostriamo quanto detto relativamente allo sviluppo delle forme, osservando appunto il modello finale, presentato nel 1995: si coglie fin da subito un forte contrasto tra gli elementi staticamente compatti, ai margini, e una massa fluida più unitaria, al centro. Dunque ci chiediamo, cosa tiene uniti questi elementi, fluidi e compatti?
modello finale, 1995
Si noterà che Gehry avvia il progetto dalla definizione del programma, che viene immediatamente scomposto in parti. Dopo aver definito il programma ed aver stabilito le parti di cui l’edificio deve essere composto, ognuna di esse viene progettata in maniera autonoma. Il risultato è visibile nei modelli.
modelli delle diverse fasi
(da sinistra: 1993, 1994, 1995)
Gli elementi
modelli di alcuni elementi di progetto, 1993
(da sinistra: cucina, piscina, galleria d’arte, atrio)
modelli degli elementi modificati, 1994
(da sinistra: cucina, piscina, galleria d’arte)
modelli di alcuni elementi aggiunti, 1994
(da sinistra: camera da letto padronale, garage, dependance per gli ospiti)
modelli degli elementi del progetto finale, 1995
(da sinistra: garage, piscina con sauna e bagno turco, atrio, dependance per gli ospiti, salone, “sentinelle”)
[immagini selezionate da architettura+sviluppo, Frank O. Gehry and Associates, ed. Rizzoli]
Analizzando la pianta si evidenzia subito un allineamento di pilastri –una spina dorsale- su cui appoggiano le coperture relative alle varie parti.
schizzi di studio dei pilastri
Studio della pianta
Inevitabilmente, ci poniamo un’altra domanda: come comunicano il modello e la pianta? Come una copertura fluida si relaziona a una “spina” di pilastri che, evidentemente, non sono sufficienti a sostenerla? Analizzando ora i modelli, ci risulta più semplice comprendere il processo: lavorando con tre dimensioni è più facile assemblare le diverse parti; dapprima gli elementi vengono modellati in una forma autonoma e in seguito vengono accostati. Così riusciamo ad individuare le pareti portanti che, insieme ai pilastri, sostengono la copertura.
schizzi di studio della struttura
pilastri e pareti portanti
Allora vediamo che tutte le parti che compongono l’edificio –garage, atrio, piscina con sauna e bagno turco, cucina, un grande salone, una dependance per gli ospiti, le “sentinelle”, quattro elementi destinati a sala da pranzo, soggiorno, camera padronale, studio privato- vengono prima progettate singolarmente e solo dopo assemblate ricalcando l’idea della spina centrale di pilastri, alla quale queste parti si appoggiano.
foto e schizzi di studio che compongono il progetto finale, 1995
(da sinistra, in alto: 1. garage, 2. piscina con sauna e bagno turco, 3. atrio, 4. dependance per ospiti, 5. salone, 6. “sentinelle”, 7. cucina)
schizzo di studio delle coperture
modello finale, 1995
(vista sud-ovest)
modello preparatorio, 1995
vista sud, “sentinelle”
E ancora, osservando il modello, vediamo come ci sia una classificazione tra le parti stanziali, di uso individuale, e gli spazi della vita quotidiana, di uso collettivo. Essi però non sono rappresentati da nessun codice: se esiste infatti un flusso modellatore delle forme, dobbiamo riconoscere che a esso non corrisponde una sequenza di spazi, un percorso. Le sentinelle sono un esempio molto chiaro di quanto detto: da una parte soggiorno e sala da pranzo, luoghi della collettività, dall’altra camera padronale e studio, luoghi di uso individuale.
“La fantasia sbrigliata del Borromini non si rivela tanto negli aspetti particolari di un edificio quanto nel suo pervasivo affermarsi in tutta la sua opera. La novità delle soluzioni da lui adottate sfidò i limiti implciti degli incarichi e, dove ebbe successo, raggiunse risultati unici. (…) In un capovolgimento di forme dominanti e ausiliarie, Borromini sfidò la gerarchia tra struttura e ornamento”.
(Kurt W. Forster, Borromini e Gehry: la vergogna dei loro secoli.
Da Coreografia architettonica, in Tutte le Opere, Electa)
Qualche risposta
E dunque possiamo rispondere alle domande che ci siamo posti. In primo luogo ciò che tiene unite le diverse parti, l’elemento unificante, è proprio la colonna vertebrale del progetto, la spina di pilastri lungo la quale si dispongono le parti e si compone l’opera. In secondo luogo, possiamo affermare che pianta e modello comunicano nel momento in cui riconosciamo che la copertura viene sostenuta dai pilastri, elementi della pianta, e dalle pareti perimetrali, elementi a cui Gehry lavora per mezzo del modello.
Concludiamo dicendo che per arrivare ad avere una coesione delle forme fluide in un’unità articolata ma ben composta in un flusso modellatore, occorre studiare in pianta la “vertebrazione”, così che ciò che meno sembrerebbe determinare l’effetto nella sua forma, e cioè la struttura, diventa l’elemento segreto della sua realtà concreta.
E in ultimo, riprendendo lo studio di Kurt W. Forster, citato, che paragona la figura di Gehry a quella di Borromini, in quanto entrambi considerabili rivoluzionari, eccentrici, diversi, antagonisti dei loro contemporanei, sentiamo di poter affermare che, se pur “maledetti” dalla critica, sono con certezza tra i più perspicui interpreti dell’architettura tettonica e dunque della forma architettonica anche dinamica.
Valentina Lecchi