L’indagine intorno al tema del cubo in architettura conduce alla necessità di comprendere le modalità con cui nascono i linguaggi partendo dalle loro radici più remote.
Talvolta il cubo è un totem, un carattere particolarmente “pregiato” dell’alfabeto delle forme della composizione: partecipa alla costruzione di una sintesi che esprime un linguaggio; concorre alla creazione di simboli comuni e simboli occulti; diventa plinto, basamento e dado.
Confrontando gli studi di C.G. Jung e W. Lethaby è possibile comprendere quanto il linguaggio che origina il luogo sacro e che riassume in esso il mito dell’origine del cosmo (e dell’io) sia frutto delle composizioni mandaliche, in questi sistemi è infatti possibile rintracciare il cubo ma è impossibile isolarlo dalla composizione poiché è nella composizione che raggiunge il suo scopo. Si pensi alla forma della moschea, alla Kaaba de La Mecca e al movimento circolare dei pellegrini, all’impianto del martyria cristiano, all’immagine della “Gerusalemme celeste” descritta ne ”l’Apocalisse” di San Giovanni, alla stupa buddista, alla raffigurazione della pietra cubica massonica, alla villa “la Rotonda” di A. Palladio. In tutti questi esempi il dialogo tra sfera, cubo e le altre forme assume i connotati di un gioco equilibrato tra la consapevolezza dell’io e la sua contemplazione, tra razionalità e oniricità, tra dionisiaco e apollineo in cui il cubo è solo una parte del messaggio.
Talvolta il cubo è un tema, una figura retorica che veicola più significati anche esterni o deleteri al “mezzo” che li conduce. Esattamente come una macchina fotografica il cubo offre delle metafore della realtà spaziale: il vuoto viene confinato nelle sue sei pareti, viene ordinato e piegato alle misure umane come nel tempio unitariano di F.L. Wright ad Oak Park (Chicago). Diventa un paradosso quando lascia demolire la sua integrità formale per dimostrare le tesi dell’architettura post-euclidea, come nelle Cardboard Houses di P. Eisenman. Diventa un’antitesi o un ossimoro quando fa di un errore compositivo l’oggetto del messaggio architettonico, come nell’edificio Kubo di F. Purini a Ravenna, in cui l’espediente dell’ordine gigante serve ad accentuare la criticità del cubo mutilato alla base.
Interpretare il cubo come uno strumento linguistico dà valore alle argomentazioni di chi sostiene che l’architettura sia un testo e come tale vada interpretata, analizzandone la sintassi e identificandone, dove possibile, una grammatica di riferimento; infatti come si è cercato di dimostrare il cubo si presta a molteplici interpretazioni di senso, sia che si tratti di un elemento basico, come ad esempio un grafema o un morfema, sia che si tratti di un artificio retorico. Tuttavia dalla parafrasi di una architettura (così come da quella testuale) emergono anche altre frontiere speculative che sottendono sempre la volontà auto-rappresentativa dell’uomo, sia nella sua intimità che nella rappresentazione del suo intorno spaziale e temporale.