Il mito dell’efficienza, la logica della competizione, le tecniche di valutazione, cioè il sistema ideologico e normativo imposto negli ultimi vent’anni sostituendone altri, servono a coprire una realtà brutale, che è quella di un taglio di risorse e di finanziamenti senza pari nel volgere dell’ultimo secolo. Si dice che dipende da uno stato di necessità imposto dalla crisi economica, e che in un tempo prossimo, non appena la crisi sarà superata, i finanziamenti torneranno a crescere. È un discorso analogo a quello continuamente ripetuto, per il quale la ripresa è lì lì per giungere e presto giungerà. La crisi viene presentata come una tempesta naturale e misteriosa, nascondendo quanto sia legata a cause strutturali e all’insorgere di un regime nuovo di squilibri e di ingiustizie che travolgono l’intera società. E se la crisi si attenuerà, si conserveranno la distribuzione nuova delle ricchezze e dei poteri, la perdita dei diritti, il baratro crescente delle disuguaglianze. Il processo di regressione dell’università, e con esso del sistema dell’istruzione, è parte di un processo generale nei cui confronti le politiche di governo sono ad un tempo deliberate, acquiescenti e impotenti. Viviamo, si dice, in tempi di carenza di fondi, e anche nell’università si è obbligati a tagliare le spese: ma il taglio è praticato fuori del tentativo di governare in modo ragionato e unitario le entrate e le spese. In quel che accade non v’è nulla di casuale, perché legato a fenomeni di lunga durata. Il ridimensionamento della scuola e dell’università sono frutto di una politica, ma sono anche legati allo sconvolgimento dei rapporti sociali. Viviamo purtroppo, si dice, in uno stato d’eccezione e di temporanea emergenza. Il decadimento della scuola ne è parte. Ma l’emergenza si prolunga nel tempo e da tempo è diventata la norma. Tra stato d’eccezione e regola s’è instaurato un rapporto segreto.
Due fatti vengono dimenticati: il primo, che altri paesi colpiti da crisi analoga alla nostra, hanno investito fortemente nella scuola e nell’università, immaginandole come strumenti indiretti per uscire dalle difficoltà e capaci sulla lunga durata di stabilire un quadro differente. Il secondo, che dietro la scelta di smantellare progressivamente il sistema della formazione (perché di questo si tratta), procede un disegno politico sotto traccia, ben celato ma che a volte si svela: ed è quello di privatizzare, magari in tempi non immediati e in modi non espliciti, uno dei più importanti apparati dello stato, quello preposto all’educazione, alla ricerca, alla costruzione di cultura. Per le università la soluzione potrebbe essere quella, più volte ventilata, della trasformazione in «fondazioni», motivata da disfunzioni che sono in realtà frutto consapevole di una politica, ma anche della collusione e della non consapevolezza del corpo dei docenti e degli studenti. Ed è una politica che può essere invertita, o almeno attenuata nelle sue conseguenze, solo se non le si lascia campo libero, solo se si riesce a costruire un movimento ampio e radicato di opposizione.
Non è questa la sede in cui riferire analiticamente del taglio delle risorse e della sua entità, che pure è importante; né di descrivere i dati relativi al Politecnico e le forme in cui è coinvolto in questo processo. Mi limito a riportare le osservazioni contenute in un documento della Crui, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, cioè delle principali autorità preposte alla gestione degli atenei. «Questione finanziaria: la situazione dell’FFO 2013 [Fondo di Finanziamento Ordinario], è insostenibile, registrando un calo medio di sistema rispetto al solo 2012 (anno in cui era stato in parte ripristinato il “taglio” frutto del combinato delle Leggi 133/2008 e 126/2008) del 4,6%, dunque il taglio più pesante subito dal sistema delle Università italiane da quando vige l’autonomia finanziaria. Rispetto al 2009 (circa 7,450 milioni di euro) l’FFO 2013 è di 6,690 milioni di euro con una decurtazione cumulata che sfiora l’11%. Il Decreto Ministeriale di riparto dell’FFO 2013 (alla Corte dei Conti) divide l’attribuzione della quota consolidabile da quella premiale, in quanto si riconosce la necessità che la seconda (la premiale) sia distribuita al lordo dell’incremento di circa 300 milioni di euro che mancano per riallineare il 2013 al 2012. I costi del personale a oggi ammontano a circa il 95% dei trasferimenti dallo Stato; il decremento dell’FFO porterà la metà degli Atenei nella situazione di default rispetto ai limiti dell’82% (personale + indebitamento) previsti dal Decreto Legislativo 49/2012, col blocco del reclutamento e la depressione degli Atenei virtuosi. […] Il finanziamento del diritto allo studio per il 2014 è a percentuali ridicole e la copertura dei “capaci e meritevoli” per l’anno in corso è attorno a una media nazionale del 60%. A ciò si aggiunga che manca una qualunque politica seria della residenzialità universitaria, la sola che garantirebbe la sostenibilità per le famiglie di studenti che si iscrivono alle Università»[1]. Non si tratta dunque di difficoltà contingenti, ma di un accanimento predisposto e che cresce.
[1] Documento Crui per il nuovo governo, Assemblea della Crui del 23 maggio 2013, pp. 2 e 3. I corsivi sono miei. Gran parte delle sigle per chiarezza sono state sciolte.