L’attività didattica e di ricerca da me svolta dal 2002 al 2012 all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale A della Facoltà di architettura dell’Università di Roma Sapienza, discende da una serie di convinzioni teoriche e dalle conseguenti strategie operative che qui di seguito saranno brevemente esposte. La prima considera l’architettura come lo strumento destinato a costruire e a migliorare nel tempo l’abitare umano per ciò che concerne le sue strutture fisiche, alla luce dei principi di necessità, di organicità, di intenzionalità tematica. Il tutto nella consapevolezza della centralità che riveste da sempre nell’architettura la questione della sostenibilità. Intesa questa , nel suo senso più ieno, ovvero come una sostenibilità non solo tecnico- quantitativa ma culturale, sociale, ambientale ed energetica. La seconda convinzione consiste nel ritenere il progetto architettonico e urbano un mezzo per conoscere il mondo fisico, per esprimere giudizi motivati su di esso e per provvedere a trasformarlo in una incessante dialettica tra continuità e discontinuità, tra permanenze e mutamenti, tra le cose e le loro relazioni. La terza convinzione si riconosce nell’idea che l’architettura possieda un suo statuto disciplinare consolidato, inverato in un sapere complesso e stratificato, il quale consente di essere trasmesso secondo precise modalità, richiedendo al contempo di essere costantemente modificato e rinnovato. La quarta convinzione i identifica in uno stretto rapporto tra architettura e città, rapporto fondativo per il quale gli edifici si iscrivono nella compagine urbana incorporando la dimensione collettiva dell’insediamento, subordinando alle ragioni superiori dell’omogeneità del tessuto la struttura e la forma del singolo manufatto. La quinta convinzione riguarda la natura stessa della composizione, il cui esercizio non può avvenire in modo estemporaneo e performativo ma deve essere effettuato secondo una progressione di scelte derivate da un’istruttoria analitica il più possibile rigorosa. Un’istruttoria seguita da un processo di formalizzazione le cui fasi saranno organizzate in una sequenza di operazioni formali basate sul rapporto tra le convenzioni della scrittura architettonica e la possibilità di ripensare tali convenzioni in termini originali e innovativi.
Questi cinque principi si inseriscono in una relazione critica con la tradizione moderna vista come un patrimonio di idee e di pratiche dal carattere intrinsecamente evolutivo, le cui numerose valenze ancora libere possono essere oggetto di ulteriori interpretazioni. Tale relazione proiettata su un’idea della storia come esito di una narrazione tendenziosa delle vicende dell’architettura moderna, si configura nello stesso tempo come antipolare rispetto a quella stessa storia nel senso che essa, a volte avanzata e a volte regressiva, va in un certo senso sovvertita a favore di nuovi scenari disciplinari. Il contrasto tra i luoghi, ovvero gli spazi che si abitano, e i non luoghi, vale a dire gli spazi che si attraversano; la progressiva riduzione della categoria tipologica, sostituita nel progetto da una contraddittoria e casuale autodeterminazione dell’edificio nella quale si perde di fatto quel residuo di oggettività che dovrebbe sempre esprimere; il dissolversi crescente dl progetto urbano, sostituito dalla disseminazione incoerente di architetture autoreferenziali; la scomparsa sempre più evidente dello spazio pubblico, divenuto ormai una propaggine di quello del consumo; la contraddizione tra la realtà e il suo simulacro virtuale prodotto oggi dal digitale; il farsi dell’oggetto architettonico un puro veicolo comunicativo definiscono un quadro problematico in cui una nuova complessità entra in conflitto con una sempre più estesa perdita del senso più autentico dell’architettura. Discende da tutto ciò una situazione generalizzata in cui convivono una notevole incertezza teorica e una altrettanto rilevante incremento della sperimentazione. Questa situazione è dovuta anche all’alternanza tra fasi di forte apertura problematica e periodi in cui il dibattito si è attenuato o ha subito un arresto. Fasi e periodi che negli ultimi trenta anni si sono succedute con ritmi sempre più accelerati.
Nel quadro problematico appena esposto il superamento piuttosto recente di una visione prevalentemente ideologica delle vicende dell’architettura moderna ha avuto un ruolo particolare. Per un verso, infatti, la crisi del modello ideologico ha consentito di pervenire ad una interpretazione più libera ed articolata di eventi, di personalità e di opere; per un altro tale eclissi dell’ideologia ha fatto venire meno quella tendenziosità disciplinare, spesso intrisa di militanza culturale, senza la quale l’esercizio del progetto perde gran parte del suo significato. Nasce allora la necessità di dare vita ad una inedita mediazione tra un necessario ampliamento critico della lettura che occorre fare di quanto è accaduto nel Novecento e una altrettanto utile e urgente esigenza di non rinunciare a punti di vista orientati e selettivi.
Le riflessioni che sono state esposte nelle righe precedenti non vanno lette come l’introduzione a una metodologia progettuale. Come tale questa non potrebbe infatti sottrarsi a un’impostazione protocollare del processo previsionale che risulterebbe precostituita a prevedibile anche nei suoi risultati. Si tratterebbe in effetti di stabilire un itinerario operativo obbligato il quale dovrebbe configurarsi, al contrario, come un’avventura aperta, tessuta di imprevisti e di contaminazioni, fatta di traiettorie non lineari e di diversioni improvvise. Senza comunque dimenticare che la base di ogni pratica compositiva non può non nascere da una decodificazione accurata e , occorre ripeterlo, criticamente orientata della realtà, accompagnata da analisi approfondite del contesto nel quale l’edificio deve sorgere, del suo programma funzionale, delle condizioni produttive con e quali la sua realizzazione si dovrà confrontare. Questa razionalità procedurale sarà poi attraversata dalle sorprese causate dall’immaginazione, un’entità in grado di proporre un suo ordine nello stesso tempo imprevedibile e necessario. Nello stesso tempo c’è da tenere presente la dimensione più profonda, e di un certo senso piuttosto sfuggente della memoria, ovvero quel sedime collettivo e individuale nel quale le cose architettoniche sfumano l’una nell’altra perdendo la loro riconoscibilità evidente per conquistarne un’altra, di natura più raccolta e introversa.
Dopo aver chiarito sinteticamente le intenzioni generali che sono alla base dell’attività didattica e di ricerca del Laboratorio è possibile ora riassumere gli obiettivi concreti che il Laboratorio stesso si è preposto di raggiungere. Il primo è quello di fornire agli studenti una serie di paradigmi concettuali e un certo numero di informazioni aggiornate sulla situazione del dibattito architettonico, e in generale sociale e culturale contemporaneo, al fine di metterli in condizione di affrontare, con maggiori possibilità di comprensione e di intervento, la complessa situazione dell’architettura nell’età globale. Un’età la quale vede aumentare giorno dopo giorno i livelli di competizione, caratterizzata da una condizione per molti versi inspiegabile, vale a dire il fatto che la globalizzazione non ha prodotto, come si temeva da parte di molti, l’omologazione planetaria di ambienti urbani e di architettura. Al contrario essa sembra aver reso più forte l’identità dei singoli contesti superando anche quella dialettica tra locale e globale che dovrebbe risolversi in una mediazione tra le due entità. Il secondo obiettivo è quello di dotare gli studenti di strumenti compositivi avanzati, inseriti in un ampio contesto di relazioni con altre aree disciplinari. Si tratta in altre parole di fornire agli allievi una sintesi sufficientemente completa di diverse scritture architettoniche nell’intenzione di estrarne le principali coordinate grammaticali e sintattiche, sulle quali gli studenti possano produrre variazioni, sovrapposizioni, integrazioni. Il terzo obiettivo si identifica nel favorire la ricerca, da parte degli studenti, di una loro scrittura architettonica, uno stile riconoscibile fondato su scelte autonome e originali, capaci di esprimere una loro personale visione dell’architettura.
L’architettura è una combinazione misteriosa di ragione ed emozione. Essa si compone infatti di soluzioni precise a problemi concreti e dell’evocazione dei significati fondamentali della vita umana. Ricordando Edoardo Persico l’architettura è “sostanza di cose sperate”, proiezione nel tempo del desiderio di migliorare l’abitare. Nello stesso tempo, citando Ernesto Nathan Rogers, essa è anche l’espressione dell’ “utopia della realtà”, vale a dire la possibilità che ciò che appare troppo avanzato possa divenire un fatto concreto. L’architettura, la quale, richiamando Vittorio Gregotti, ha bisogno per essere pensata e realizzata della necessaria distanza critica dalla realtà e infine come l’arte, qualcosa che rende visibile l’invisibile facendo sì che nello stesso tempo ci si senta più liberi, più felici, più capaci di far coincidere l’abitare con la sua necessaria trasformazione.