Quando l’artista Edi Rama divenne sindaco di Tirana nel Duemila mise in piedi immediatamente un controverso progetto di riqualificazione della travagliata capitale albanese, ridipingendo gli edifici fatiscenti della città in una serie tumultuosa di colori e patterns. Si è trattato di un atto estetico e politico che ha indotto una trasformazione sociale. Tale operazione fu possibile senza una sostanziale alterazione dell’architettura, della sua forma o funzione, ma attraverso la visualizzazione simbolica di segni di cambiamento. L’iniziativa fu essenzialmente rivolta a stimolare la coscienza dei cittadini e a rivitalizzare il loro atteggiamento nel vivere la città.
Allo stesso modo, “Unstable Tirana”, è una proposta visionaria che utilizza l’architettura come mezzo per promuovere un cambiamento sociale, e che, attraverso un’ architettura “manipolabile”, incoraggia i cittadini alla riappropriazione della città.
La proposta è quella di un’architettura mutante, in continua evoluzione. Vale a dire, una architettura sempre modificabile nei suoi aspetti formali e funzionali, in grado di rispondere direttamente alle circostanze contingenti. Un’architettura “open source”, che utilizza l’analisi del traffico e i feedback degli utenti al fine di modificare la sua attività in tempo reale, ottimizzando cosi la fruibilità e la circolazione.
Le tecnologie emergenti di Internet e dei sistemi di tracciamento GPS per smartphone sono gli strumenti utilizzati per la gestione del sistema, il quale, attraverso il monitoraggio anonimo dei flussi, ricava valori quantitativi sulla portata e sulla direzione degli spostamenti alla scala urbana. Gli utenti, poi, contribuiscono al meccanismo scaricando dati, condividendo commenti ed inviando suggerimenti o preferenze. Cosi facendo, collaborano direttamente alla configurazione di una realtà a loro più congeniale, che si esprime attraverso trasformazioni condivise. Come dovrebbe essere.
In questi termini, il progetto mira non solo a dare una visione per la nuova stazione ferroviaria, ma ha l’ambizione di fornire un modello ipotetico per lo sviluppo futuro dell’intera Tirana, come nuova metropoli contemporanea.
In tema di studi sull’urbano, alla 12° Biennale di Venezia, Andrea Branzi (Archizoom Asociates) ha presentato La Nuova Carta di Atene, una lista di dieci suggerimenti che ci aiutano a leggere e interpretare le condizioni delle città presenti, che sono attraversate da flussi finanziari, merceologici, di comunicazioni e persone. Andrea Branzi raccomanda di considerare la città simile ad un “high-tech favela, senza soluzioni rigide e definitive, fatta di dispositivi reversibili, incompleti e trasformabili […] un plancton vivente”.
D’accordo con questa analisi, la proposta per la nuova stazione di Tirana è la seguente: essa è composta da due parti, una stabile (l’infrastruttura) ed una instabile (l’equipaggiamento). Queste due parti sono costituite da elementi costruttivi combinabili tra loro con processi di costruzione a secco. Infinite sono le configurazioni possibili, anche inaspettate: l’edificio si può muovere, espandere o ridurre. In questo modo la sua architettura può adattarsi ai desideri degli utenti, e fisicamente reagire a situazioni diverse: può cambiare a seconda del clima, delle stagioni o dei bisogni della comunità, inclusi i casi di manifestazioni spontanee o di imprevedibili eventi naturali. L’edificio, privo di perimetri, è veramente aperto alla città e ai suoi flussi, senza alcuna differenza tra interno ed esterno, pubblico e privato o specializzazione funzionale.
In queste condizioni la stazione non è più il dispositivo attraverso cui la rete funziona, ma viceversa è la rete stessa che permette alla stazione di funzionare. Per questo motivo le due immagini fornite sono diverse e diametralmente opposte: la prima è la rappresentazione di una stazione “accesa”, piena di persone e flussi dinamici, mentre la seconda mostra una sorta di stazione “spenta”, pronta per essere smontata. Questo dualismo intende evocare il principio secondo cui l’architettura deve essere fatta di persone, dalle persone e per le persone soltanto.
In altre parole, “Unstable Tirana” è la proposta di un’architettura in grado di flettere stessa per soddisfare le esigenze collettive, trasformando la sua struttura e i suoi compiti.
Oltre alle varie possibilità legate a questo concept, nel caso estremo di trasformazione tale architettura deve essere anche pronta ad invertirsi fino a scomparire. Questa sarebbe una logica coerente per un futuro sostenibile, sia in termini economici che sociali ed ambientali. Le costruzioni in disuso dovrebbero essere in grado di “restituire” il materiale costruttivo, per il riutilizzo in altri edifici. Inoltre, eventualmente, dovrebbe anche essere possibile ripristinare il paesaggio precedente all’architettura, come una sorta di “processo inverso di urbanizzazione”, contro l’eccessiva costruzione in atto su scala globale.
In questo modo, il progetto sembra prefigurare un’architettura che anche se densa, è meno invasiva e più leggera rispetto al convenzionale. Un dispositivo più efficiente e veloce nel rispondere ai continui cambiamenti della società. Pertanto, un’architettura che pone gli interessi pubblici al primo posto, mentre storicamente, specialmente a Tirana, hanno spesso prevalso interessi politici o privati.